Rapporto I.L.O. “L’Italia individui i mezzi per sostenere i giovani”

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«I lavoratori giovani non devono prendere il posto di quelli più anziani nel mercato del lavoro e il governo dovrebbe individuare altri mezzi a sostegno dell’occupazione giovanile. L’Italia deve monitorare le forme atipiche di occupazione, tanto che sarebbero necessari maggiori sforzi per incentivare la trasformazione dei contratti a tempo determinato in posti di lavoro fisso», queste le sottolineature contenute nel nuovo rapporto, l’Ilo, l’ International Labour Organization, l’Organizzazione internazionale del lavoro.

Le considerazioni pubblicate dall’ agenzia, che è una delle massime istituzioni internazionali a livello mondiale sui temi dell’occupazione, mette un segno menosull’ipotesi  allo studio del ministro del Welfare, Enrico Giovannini, che per incentivare l’occupazione giovanile potesse servire un turnover nelle aziende tra lavoratori anziani, il cui contratto potrebbe essere trasformato in part-time (ovviamente su base volontaria) in cambio di giovani neo-assunti.

Ma non solo. L’Ilo se da una parte  sconfessa il progetto italiano dall’altra loda lo Youth Guarantee (di matrice nordica), cioè il sistema di garanzia per dare la possibilità ai giovani al di sotto dei 25 anni di ricevere delle offerte di lavoro di buona qualità, una formazione senza interruzioni, un apprendistato o un tirocinio entro quattro mesi dal momento in cui restino disoccupati o abbandonino gli studi. Senza disdegnare  gli incentivi all’assunzione di giovani più svantaggiati (disoccupati di lunga durata o giovani poco qualificati), le borse di formazione e «il contatto con lavoratori più esperti attraverso il tutoraggio che può fornire consigli, istruire alle buone pratiche sul luogo di lavoro ed aiutare a dissipare i malintesi riguardo ai giovani».

E sulla disoccupazione giovanile nel nostro Paese, la stessa agenzia delle nazioni unite, qualche giorno fa, aveva pubblicato i dati a dir poco allarmanti. In Italia, si legge nel documento, quasi un giovane su quattro non studia, non lavora e non segue nessun tipo di formazione professionale. La quota dei cosiddetti Neet (acronimo inglese che sta per Not in education, employment or training) è nettamente cresciuta negli ultimi anni piazzandosi al di sopra della media dei paesi avanzati. Il nostro Paese ha fatto un passo indietro lungo 10 anni, secondo le tabelle contenute nel rapporto annuale dell’Ilo.

Sulla base degli ultimi dati disponibili per la comparazione tra Paesi, risalenti però al 2010, la percentuale di Neet in Italia è salita, infatti,  fino al 23% dal 19,2% del 2008 (nel 2005 era al 18,5%). Torniamo quindi ai livelli del 2000 quando i giovani italiani che non lavoravano, non studiavano e non seguivano alcuna formazione professionale erano il 23,3%.