Il lavoro si rivoluziona …. o almeno ci prova

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Potremmo definire i cambiamenti che stanno interessando, e per alcuni travolgendo, il mondo del lavoro una rivoluzione? Da una parte c’è il decreto attuativo del Jobs Act sul contratto a tutele crescenti, dall’altra quello che contiene la Riforma dei Contratti: l’insieme dei due provvedimenti fissa di fatto nuove regole sancendo l’abolizione di alcune forme di lavoro.

Una cosa va chiarita. Il decreto approvato dal Consiglio dei ministri dello scorso 20 febbraio: “Schema di decreto legislativo recante il testo organico delle tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, numero 183” è un Dlsg applicativo di una legge delega, che quindi dopo l’approvazione del Governo deve passare attraverso il parere delle Commissioni parlamentari e della Conferenza stato regioni. Solo al termine di questo iter, il decreto sarà operativo. Certo è che il percorso parlamentare è fondamentalmente consultivo, ossia trattandosi di una delega l’ultima parola spetta comunque all’Esecutivo e questo può far pensare che difficilmente ci saranno modifiche sostanziali.  Sono stati già confermati gli impianti dei due decreti attuativi del Jobs Act che hanno terminato l’iter, quello sul contratto a tutele crescenti e quello sulla Riforma ammortizzatori sociali, entrambi pubblicati in Gazzetta Ufficiale.

Detto questo vediamo cosa prevede l’articolo 47 del decreto sulla Riforma dei contratti, in base al quale a partire dal primo gennaio 2016 , citiamo testualmente, «si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro».

Ecco però le eccezioni previste:
• collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore: singifica che sindacati e imprese possono firmare accordi che salvaguardano alcune forme di collaborazione coordinata e continuativa (è il caso, ad esempio, dei call center);
• collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni con iscrizione all’albo;
• attività dei componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
• prestazioni di lavoro rese a fini istituzionali in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, disciplinati dall’articolo 90 della legge 289/2002;
• l’intero settore della pubblica amministrazione fino al gennaio 2017.

Abolite di fatto le collaborazioni a progetto. E mentre l’articolo 49 prevede che i contratti di collaborazione già in essere possano proseguire fino a scadenza, l’articolo 48 punta l’attenzione sulla trasformazione di questi in contratti in tempo indeterminato con un “regalo” ai datori di lavoro. Infatti, se questi trasformeranno i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto e di persone titolari di partita Iva, in assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato  si vedranno cancellare tutte le violazioni contributive, assicurative e fiscali connesse all’eventuale sbagliata qualificazione del rapporto di lavoro precedente. Una sorta di sanatoria anche se l’agevolazione non si applica nel caso in cui ci sia già una violazione accertata in precedenza.

Da sottolineare che nei 12 mesi successivi all’assunzione, i datori di lavoro non possono recedere il contratto, salvo che per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo: non si può quindi prima assumere un collaboratore per regolarizzare la posizione ed evitare le sanzioni, e poi subito dopo licenziarlo. In questi casi, in pratica, c’è una clausola di illicenziabilità di un anno, che se non rispettata fa perdere il beneficio e quindi aprire un contenzioso anche per il pregresso. La precisazione è importante perché il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, che si applica a tutte le assunzioni effettuate dal 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del decreto 23/2015), non prevede più le precedenti protezioni dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, limitando fortemente la possibilità di reintegro del lavoratore ingiustamente licenziato.

Il diritto al reintegro nel posto di lavoro resta nel caso in cui il licenziamento sia discriminatorio,  intimato in forma orale o se giustificato per motivi disciplinari ne sia dimostrata «l’insussistenza del fatto materiale». Cosa succede se un dipendente commette effettivamente un fatto  che però non è illecito, o è sproporzionato rispetto al provvedimento di licenziamento, non è dato ancora saperlo.

Sui contratti di collaborazione a progetto era già intervenuta la Riforma targata Elsa Fornero. L’ex Ministro aveva messo punti  precisi su questa tipologia di contratto: deve essere collegato a un progetto specifico, gestito autonomamente dal collaboratore, funzionalmente collegato a un determinato risultato finale, il compenso deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito, e non può comunque essere inferiore ai minimi stabiliti per le stesse mansioni dai contratti di appartenenza dei lavoratori subordinati.