Camporese: “Un atto di assoluta libertà ma con alcuni aspetti rischiosi”

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La riforma delle pensioni decisa dal Governo di Cameron può apparire un atto di assoluta libertà individuale ma, secondo me, ha in sé alcuni aspetti estremamente rischiosi.  Nella vita delle persone possono accadere degli imprevisti , eventi traumatici,  e una non sana gestione del proprio patrimonio accantonato può da una parte porre lo Stato di fronte ad ulteriori e gravissimi rischi di spesa sia di natura sociale sia sanitaria, e dall’altro arrestare quel fattore moltiplicatore che si otterrebbe invece lasciando il denaro in un fondo pensione, in uno strumento che lo fa crescere, permettendo ai risultati di gestione e quindi  alle plusvalenze di essere reinvestite.

Inoltre, anche se il Governo britannico ha previsto una task force  formata da 300 consulenti che dovrebbero spiegare ai singoli come funziona il sistema e metterli in guardia da eventuali problemi che potranno subentrare dopo la scelta,  prima che ogni cittadino possa avere un colloquio passeranno dei decenni. Cosa succederà nel frattempo? Dobbiamo tener conto che c’è un elemento di natura psicologica che non può essere sottovalutato ossia quando il denaro è disponibile la propensione a spenderlo è molto forte, anche in beni non proprio di prima necessità. Leggo, infatti, in alcuni articoli dei giornali che nei sondaggi la maggioranza  degli intervistati ha dichiarato che userà i soldi per il viaggio tanto desiderato.

Tralasciando da parte le azioni che secondo me dovrebbero essere messe in campo per stimolare la ripresa, è indubbio che con questa riforma in nome della stimolazione dell’economia si metta in secondo piano la tutela sociale e prospettica. E’ evidente inoltre che il Governo britannico ha deciso di fare cassa ed infatti ha stimato che incasserà, in 5 anni, 4 miliardi di tasse dalle somme ritirate. Mentre il 25% del capitale accantonato resterà esentasse, il  75 per cento sarà soggetto all’aliquota fiscale ordinaria. E’  evidente che in un sistema sano l’erogazione della rendita o del capitale debba essere sottoposta a tassazione , ma questo non può prescindere dal tener conto che, come scrivevo prima, i soldi ritirati non subiranno più quell’effetto moltiplicatore che avrebbe potuto garantire un “assegno annuale o mensile” più adeguato. Il rischio che i nuovi pensionati non avranno più i soldi necessari per vivere è, a mio avviso, molto elevato.

Non è un caso che la Costituzione italiana preveda una copertura previdenziale obbligatoria in termini di tutela sociale prospettica  e che ci possa essere da parte dello Stato, e nel caso delle Casse private con un potere delegato da questo,  una funzione non solo di rendita pensionistica ma anche di ammortizzazione sociale. E non è neppure un caso che uno dei temi che dibattiamo quotidianamente e che è sui nostri tavoli di lavoro riguardi l’adeguatezza delle prestazioni future. Non possiamo non porci il problema di come vivranno i futuri anziani, se ci troveremo di fronte una schiera di nuovi poveri.

Stabilire che chi ha  55 anni possa incassare l’ammontare delle somme accantonate ha abbastanza dell’incredibile visto che i dati ci dicono che la  speranza di vita media prevista è intorno agli 85 anni. Chi ha approvato la riforma ritiene che una persona sia in grado di gestire anzi di autogestire il proprio accantonamento anche per  30 anni,  una idea che a me sembra quantomeno azzardata e i cui effetti si vedranno, purtroppo, solo nel tempo.

Come rilanciare i consumi? Secondo me l’unica possibilità è investire nell’economia reale perché produrrebbe un effetto moltiplicatore sia sull’occupazione con la creazione di nuovi posti di lavoro sia di conseguenza sulla spesa. Io non vedo altro metodo che possa essere duraturo. Non credo che la semplice creazione di liquidità, chiamiamola così , sia la soluzione.  Può esserlo in termini molto brevi, istantanei, immediati, ne sono convinti alcuni economisti. Io questo non lo nego, però credo che la creazione di valore prospettico e duraturo si faccia soltanto intervenendo sul tessuto sociale ed economico del Paese. Credo che dovremmo andare in quella direzione.