Sos digital skills. Scarsa e «on the job» la formazione, poco efficace il dialogo scuola-impresa

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È quanto sostiene e denuncia l’Osservatorio delle Competenze Digitali 2015,  promosso dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) e realizzato da NetConsultingcube.  Security Specialist, Enterprise Architect e Business Analyst per le aziende informatiche, i Cio (Chief information officer ) i Security Manager, il Database Administrator e il Digital Media Specialist per le aziende utenti e la Pubblica amministrazione: sono questi i profili più ricercati in Italia, dove il mercato del lavoro premia le lauree in informatica e ingegneria, ma le aziende più innovative lamentano la mancanza di «una condivisione dei percorsi e degli skill» che servirebbero per tenere il passo della «trasformazione digitale» che sta cambiando il modo di produrre e di lavorare. L’80% delle aziende informatiche ritiene fondamentale disporre un sistema di certificazione delle competenze tecniche, che ancora non c’è. D’altro canto, nelle aziende e negli enti di casa nostra si fa poca formazione digitale. E il rischio è che il nostro Paese accentui il ritardo rispetto alle altre economie sviluppate globali.

Nel Rapporto, giunto alla sua seconda edizione, si mette in evidenza, infatti,  come lo sviluppo di una cultura digitale sa strategico e come sia un bisogno prioritario a cui occorre rispondere rafforzando l’impegno  e stimolando gli interventi a quattro livelli principali: i cittadini (promuovendo azioni di educazione digitale diffusa), la Pa e le Istituzioni (accelerando l’e-Government e la dematerializzazione), le imprese (con strumenti che favoriscono l’innovazione e accrescono la competitività) e il mondo della scuola (dove va favorita la cultura digitale ed ogni livello, a tutti i docenti e studenti, in ogni indirizzo scolastico).

Ma occhio ai dati. Secondo il documento, le aziende di entrambi i settori – pubblico e privato – sono perfettamente consapevoli (lo ammette il 80-90% dei rispondenti) della forza del cambiamento veicolato dai nuovi trend tecnologici . E qui l’elenco dei ricercatori è lungo e variegato : mobile, digitalizzazione di flussi e processi, business analytics, iot, cloud computing, evoluzioni Web, pagamenti elettronici.

Esperti digitali cercasi, dunque, ma dove? Per le aziende Ict il canale di reclutamento preferito è il solito network delle conoscenze personali e professionali (è così per il 70% circa delle aziende coinvolte dall’Osservatorio, mentre le organizzazioni che le tecnologie le utilizzano sono più propense a rivolgersi alle società di ricerca e selezione, come dichiara oltre il 50% degli utenti. Il mondo della Pa ricorre soprattutto ai concorso pubblico: questo l’ambito di selezione per la totalità degli enti della Pa centrale e per oltre l’80% di quelli locali.

Solo che in Italia c’è uno scarso livello di copertura delle competenze Ict (definite sulla base del sistema europeo e-Competence Framework), misurato come simultanea presenza di tutte le componenti necessarie, livello che varia dal 73% delle aziende Ict al 67% delle società in house delle Regioni e Province Autonome al 48% delle aziende utenti, per poi scendere al 41% nella Pa Centrale e al 37% nella Pa Locale. Il report rileva anche che il 60% delle aziende e degli Enti ha rapporti continuativi con il mondo accademico, finalizzati prevalentemente ad assorbire risorse già formate per attività di stage, nonché di supporto a tesi di laurea sperimentali. Poche sono le realtà che partecipano ai comitati di indirizzo dei corsi di studio. I rapporti con gli Istituti Tecnici/Istituti di Istruzione Secondaria sono scarsi: solo il 27,3% delle aziende Ict e il 22% di aziende utenti ed Enti Pubblici li dichiarano.

Al convegno è intervenuto anche Damien Lanfrey, (Segreteria tecnica del Miur) il quale ha presentato il Piano nazionale Scuola digitale (http://www.istruzione.it/scuola_digitale/index.html) , il documento di indirizzo del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana, un piano che non insiste tanto sulla dimensione tecnologica quanto sulla dimensione culturale ed educativa “un’azione culturale, che parte da un’idea rinnovata di scuola, intesa come spazio aperto per l’apprendimento e non unicamente luogo fisico, e come piattaforma che metta gli studenti nelle condizioni di sviluppare le competenze per la vita”. Il Piano contribuisce a “catalizzare” l’impiego di più fonti di risorse a favore dell’innovazione digitale, a partire dai Fondi Strutturali Europei (PON Istruzione 2014-2020) e dai fondi della legge 107/2015 (La Buona Scuola).
Le azioni previste si articolano nei quattro ambiti fondamentali:  strumenti, competenze, contenuti, formazione e accompagnamento.