L’Inps “da i numeri” e Boeri rivendica la busta arancione

552

Parte dalla flessibilità il Presidente Boeri per toccare altri punti dolenti come le “salvaguardie nate per gli esodati della riforma Fornero che, in quanto misure tampone, si sono mostrate costose e inadeguate”. Il rapporto annuale targato Inps (in allegato la relazione annuale del presidente Boeri) diventa l’occasione per il Presidente, oltre che per tracciare il quadro complessivo della situazione, per lanciare un messaggio forte e chiaro. “Sarebbe paradossale – dice Boeri – che il confronto tra governo e parti sociali in corso si concludesse ancora una volta con interventi estemporanei e parziali” e ricorda  che la riforma Fornero ha creato “forti disagi sociali tra i lavoratori con più di 55 anni e reso più difficile l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani, contribuendo ad aumentare la disoccupazione degli under 30”.   Il riferimento è alle sette salvaguardie pensate inizialmente per i cosiddetti esodati creati dalla riforma Fornero, ovvero coloro rimasti senza né lavoro né pensione a seguito del drastico innalzamento dell’età pensionabile determinato dalla riforma. Secondo l’Inps, tali misure “hanno eroso fino a un sesto dei risparmi conseguiti dalla riforma del 2011”, con un costo amministrativo ombra di quasi 34 milioni di euro causato dal personale dell’istituto distolto da altre attività.

E il dato preoccupante contenuto nel rapporto annuale è quello che evidenzia come quasi sei milioni di pensionati in Italia (il 38% del totale) hanno redditi da pensione inferiori a 1.000 euro al mese. In particolare, il 10,8% del totale (pari a 1.686.944 pensionati) percepisce meno di 500 euro e il 27,2% (4.275.706) tra 500 e 1000 euro. Netta sproporzione fra donne e uomini in entrambe le fasce: sotto i 500 euro il 12,4% delle donne e l’8,9% degli uomini; fra 500 e 1000 euro il 34,9% delle donne e il 18,5% degli uomini. Una fascia che  assorbe solo il 15,6% della spesa complessiva ricevendo nel 2015 poco più di 43 miliardi di euro. Si tratta soprattutto di donne (3,95 milioni). Ed è proprio annunciando questi dati che il Presidente ha sottolineato come sia indispensabile mettere in campo interventi di contrasto alla povertà, alle nuove povertà.

Con i nuovi criteri è naturalmente aumentata di numero anche la fascia dei ‘benestanti’: coloro che possono contare su oltre 3.000 euro di reddito pensionistico al mese sono circa un milione (il 6,5% del totale), per circa tre quarti uomini (745.238 a fronte di 265.140 donne). La fascia tra i 1.000 e i 1.500 euro al mese (3,4 milioni di persone è pari al il 22% del totale dei pensionati mentre quella tra i 1.500 e i 2.000 è pari al 18,1%. Le prestazioni previdenziali sono 17,1 milioni (quasi un terzo delle quali, 5,8 milioni,  di anzianità o anticipate) mentre quelle assistenziali sono 3.837.802.

Ma oltre ai numeri Boeri si è molto soffermato su due temi che stanno o hanno caratterizzato l’azione di Governo. Il primo, come dicevamo, riguarda la flessibilità.

“E’ molto positivo che le parti sociali e il Governo si stiano confrontando per individuare i possibili correttivi, con forme di flessibilità in uscita. Ci sono forme di flessibilità sostenibile alla nostra portata, che darebbero risposte sia a coloro che vogliono uscire dal mercato del lavoro, pur consapevoli che una scelta anticipata ridurrebbe per sempre il loro trattamento pensionistico, sia a coloro che devono entrare nel mercato del lavoro. Ma, alla luce della complessità delle soluzioni è fondamentale  assicurare che tutti coloro che potranno un domani esercitare opzioni di uscita flessibile siano in grado di capire fino in fondo le implicazioni delle loro decisioni”.

“Non si può negare – ha continuato Boeri – che rate ventennali di ammortamento di un prestito costituiscano una riduzione permanente della pensione futura. Né si può negare che, continuando a lavorare, il contribuente avrebbe diritto a una pensione più alta. Ecco perché l’obiettivo dell’Ape, non dovrebbe essere certo quello di spingere più persone possibile a uscire dal mercato del lavoro, bensì quello di garantire maggiore libertà di scelta consapevole, senza aumentare il debito pensionistico e senza creare generazioni di pensionati poveri”.

Poi c’è il Jobs act e soprattutto quell’articolo 18 che aveva scatenato polemiche e contrasti. Boeri ha spiegato che la cancellazione dell’articolo 18 con il superamento della reintegra per i licenziamenti senza giusta causa e giustificato motivo previsto dal Jobs act non ha portato a un aumento dei licenziamenti: nel 2015 l’incidenza dei licenziamenti è diminuita del 12% sull’anno precedente. Secondo Boeri, le norme del Jobs act sui contratti a tutele crescenti hanno inciso sulle stabilizzazioni dei contratti nelle imprese soprattutto tra i 15 e i 19 dipendenti, anche se l’aumento dell’occupazione è stato determinato soprattutto dai massicci incentivi sul fronte della contribuzione. Nel 2015 i contratti a tempo indeterminato sono cresciuti di oltre mezzo milione rispetto all’anno precedente ma sono destinati nel 2016 a stabilizzarsi su questo livello.

E Boeri chiude togliendosi un sassolino dalla scarpa. “Stupisce notare che alcuni ci abbiano criticato per avere offerto troppe informazioni – ha detto il Presidente Inps –  non sempre convergenti, a loro giudizio, con quelle fornite dal nostro istituto di statistica. Ma coerenza non significa coincidenza quando le fonti sono diverse e i dati servono per farsi un’opinione solo se sono credibili”.