Feltrin: “Proletarizzazione delle libere professioni”

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Sono oltre 1milione e quattorocentomila i professioni iscritti ad un albo professionale, costituendo il 5% delle forze lavoro in Italia e il 25% del complesso del lavoro indipendente. E questo nonostante la crisi che ha coinvolto il nostro Paese. Anzi, a differenza di altri lavoratori, i liberi professionisti sono in netto aumento.

Ogni anno, oltre 250 mila persone scelgono la strada della libera professione, che in Italia è diventata un vero e proprio “polmone” del mercato del lavoro confermandosi come un segmento “anticiclico” dell’occupazione. Tra il 2009 e il 2015, il numero di liberi professionisti cresce con maggiore intensità in quelle economie regionali dove il Pil pro capite è maggiore. Sono, infatti,  le regioni del Nord a Romagna a 14 in Calabria.

A sostenerlo la ricerca 2017 targata “Osservatorio delle libere professioni,” promossa dalla Fondazione Confprofessioni e diretta dal professore Paolo Feltrin che nel suo intervento ha tracciato “gioie e dolori” delle categorie (in allegato).

Dolori perché secondo Feltrin, sociologo e politologo, la libera professione si sta proletarizzando. “Il numero dei professionisti aumenta e c’è un atteggiamento positivo verso i giovani. Ma più alto è il numero  – ha spiegato Feltrin – e più si abbassano i redditi. Che ci sia oggettivamente un rischio di proletarizzazione è un fatto. Il rischio c’è ed è evidente. Così come è reale una differenziazione. C’è chi, vuoi per capacità di cercare nuovi mercati ed occupazioni, guadagna molto di più del passato e chi meno. Come tenere assieme questi due mondi è un problema. Tenere assieme mondi che vanno uno verso l’altro o uno contro l’altro è una questione aperta. C’è un indicatore interessante che accerta la proletarizzazione ossia la maggiore richiesta di tutela. Tutti vanno nella direzione, Casse di previdenza comprese, di offrire maggiori tutele, strumenti di welfare”.

E nel parlare di gioie e dolori, Feltrin affronta il tema di genere.  Il gender gap nell’accesso alla professione si è quasi dissolto. La differenza di reddito no. Anche se, spiega Feltrin “Tra un uomo e una donna con meno di 40 anni il gap è lieve mentre è molto marcato tra un professionista uomo e una professionista che ha superato i 40 anni. Nei prossimi anni le donne con meno di 40 anni si allineeranno con i propri colleghi. Insomma le differenze sono evidenti ma in attuazione.”.

Inoltre, tra il 2009 e il 2016 si è ampliata la quota di donne che svolge la libera professione in particolare ad età più avanzate nonostante le donne smettano prima di esercitare. Ad esempio nel 2016 i liberi professionisti donna tra i 65 e 69 anni sono solo il 4,9% del totale delle donne mentre alle stesse età questa percentuale, sul contingente degli uomini, è del 9,5%. Un altro dato, ma questa volta va nel settore “gioie” per le donne riguarda il grado di istruzione: le quote di professioniste laureate sfiorano l’80%, contro il 60% dei colleghi maschi.

Il profilo della libera professione al femminile diverge in modo marcato dall’universo maschile, dove al primo posto c’è la professione legale (avvocato e procuratore), seguita da agenti di commercio, medici, commercialisti, tecnici in campo ingegneristico e ingegneri. Tutti i gruppi professionali più importanti in termini numerici (quelli di dimensioni superiori ai 50.000 occupati) mantengono una prevalenza maschile, con le sole eccezioni delle professioni sanitarie infermieristiche e degli psicologi, professioni che non a caso si collocano ai primi posti della sola classifica femminile. Le donne inoltre dispongono di un accesso molto limitato a professioni numericamente importanti (80-90 mila occupati) come gli ingegneri, i tecnici in ambito ingegneristico e gli agenti di commercio, che si configurano come mondi al maschile, con oltre l’80% di specializzazione di genere. Di converso, l’unica professione numerosa declinata quasi esclusivamente al femminile è quella della psicologa / psicoterapeuta, dove le donne pesano quasi l’80%.

Sul fronte calo dei redditi, la ricerca conferma che il segno meno non fa distinzione tra uomo e donna mentre lo fa tra categorie. “Se calano drasticamente i redditi di farmacie e studi notarili – si legge nello studio –  crescono i ricavi per dentisti, studi medici, commercialisti e consulenti del lavoro. Il reddito medio si abbassa anche per gli studi legali, negli studi di ingegneria, mentre veterinari, periti e agronomi vedono accrescere con più intensità il reddito”.

I redditi medi al 2015 per le principali professioni ordinistiche evidenziano il persistere di un importante divario tra professioni: si passa dai 20mila euro annui degli studi di psicologia ai 244mila delle attività notarili. Tale divario tuttavia appare in calo, per effetto del notevole e rapido abbassamento dei redditi medi nelle professioni più ricche, tra tutte le attività notarili (che quasi dimezzano il reddito medio del 2006, stimato in 478mila euro) e le farmacie (che passano da 135mila a 116mila euro). Il reddito medio nelle professioni ordinistiche (limitatamente ai segmenti coperti dagli studi di settore) incontra diverse fluttuazioni tra il 2006 e oggi, attestandosi tuttavia al 2015 sullo stesso valore registrato a inizio periodo: 46mila euro annui.

Le dinamiche reddituali delle diverse professioni appaiono alquanto eterogenee: al marcato calo dei compensi nelle due professioni tradizionalmente più redditizie – farmacie e studi notarili, uniche professioni che si pongono mediamente sopra i 100mila euro – si contrappone la crescita dei ricavi per dentisti, studi medici, commercialisti e consulenti del lavoro. Il reddito medio si abbassa anche per gli studi legali – dove la flessione interviene tutta nell’ultimo periodo (2011-2016) – negli studi di ingegneria e tra i periti industriali (rispettivamente -17 e -2,5%). Servizi veterinari (+36%), periti agrari (+26%) e agronomi (+23%) sono le professioni che vedono accrescere con più intensità il reddito, trainate dalla crescita complessiva del comparto agricolo e dell’agroindustria. Queste professioni, assieme agli intermediari del commercio, sono le sole a registrare una crescita continua, che si protrae dal quadriennio 2006-2010 al periodo più recente (2011-2015).

Il divario di genere in termini reddituali si presenta più o meno marcato a seconda delle professioni, ponendosi comunque a sfavore della popolazione femminile, in tutti i segmenti di specializzazione. Il gap è massimo in professioni quali perito industriale e avvocato, dove le donne guadagnano all’incirca la metà dei colleghi maschi. Nel giornalismo e nelle professioni infermieristiche il divario raggiunge i valori minimi e i compensi delle donne sono mediamente pari all’80-90% di quelli degli uomini. Tra i professionisti più giovani (con meno di 40 anni) il divario reddituale è tendenzialmente ridotto rispetto a quello che si riscontra nelle generazioni più mature: è, questo, un dato positivo, che indica come il successo del libero professionista sul mercato vada ad essere progressivamente meno determinato da vincoli e pregiudizi culturali.