Legge di Bilancio e Professioni

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C’è chi dava per certo che nella Legge di Bilancio l’equo compenso avrebbe trovato la giusta collocazione ma “di doman non c’è certezza”. Ad oggi, anche se la discussione sugli emendamenti e l’iter parlamentare non hanno tagliato il traguardo, di equo compenso non ce n’è traccia.

A denunciarlo anche il Comitato unitario delle professioni e la Rete delle professioni tecniche che in un comunicato stampa congiunto dichiarano “Nel corso di questi mesi, in varie occasioni, i più autorevoli esponenti dell’Esecutivo hanno manifestato, anche parlando alle platee dei congressi delle categorie rappresentate dalla Rete delle professioni tecniche e dal Comitato Unitario delle Professioni, la volontà di ampliare le norme introdotte dal decreto-legge n.148/2017 (decreto fiscale) e chiarite con la legge n.205/2017 (legge di bilancio 2018) in materia di equo compenso per i professionisti. Le intenzioni descritte sono state accolte con favore corale dalle libere professioni, ed è stata data ampia credibilità agli interlocutori quando il principio è stato inserito persino nella nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2018, dove si legge: «Per contrastare il precariato si procederà anche all’estensione dell’equo compenso, introdotto con l’articolo 19-quaterdecies del D.L. n. 148/2017».

Ed ancora

 “Dopo aver preso atto dell’assenza di ogni accenno alla norma nel testo della legge di Bilancio, si apprende che tutti gli emendamenti, presentati da Deputati di diversi gruppi parlamentari, orientati ad inserire nell’articolato la misura prospettata dal Governo ed auspicata da Rpt e Cup, sono stati dichiarati inammissibili per estraneità di materia. Tale scelta appare del tutto contraddittoria, almeno per due motivi: intanto perché la materia è tutt’altro che estranea alla natura del disegno di legge di Bilancio poiché parte integrante del Documento di Economia e Finanza presentato dal Governo anche in sede comunitaria; in secondo luogo perché, come detto, la norma sull’equo compenso ha trovato la sua definizione esattamente con un’altra legge di Bilancio, quella del 2018 . Nel corso del 2018, infatti, molte Regioni hanno cominciato a rispettare la previsione dell’equo compenso arginando così le numerose iniziative che in passato hanno visto molte amministrazioni chiedere gratuitamente le prestazioni ai professionisti. Un cammino che rischia di fermarsi.

Ma se l’equo compenso è stato messo da parte, per ora, il regime dei minimi e la flat tax sembrano invece trovare spazio nella discussione.  Il testo dovrà essere convertito in legge entro fine anno, ma è prevedibile che le norme sulla flat tax non subiranno modifiche dato che il Governo le ha già messe nero su bianco  nel Documento di economia e finanza approvato nel mese scorso.

In pratica, con il regime forfettario, il reddito derivante dall’attività di lavoro autonomo fuoriesce dal regime IRPEF e viene tassato con la flat tax al 15% (salirà al 20% nel regime di imposta sostitutiva applicabile dal 2020). I restanti redditi, se presenti, continuano a essere tassati nell’ambito dell’imposta progressiva. A partire dal 2020 la flat tax sarà estesa anche a chi guadagna fino a 100.000 euro. In questo caso, però, l’aliquota sarà al 20% per la fascia oltre i 65.000 euro, e resterà l’obbligo di fatturazione elettronica.

Inoltre, dal 2019, il forfettario non sarà più un regime destinato solo alle attività professionali “marginali” ma, se dovesse passare l’emendamento a firma Rizzetto, sarà esteso fino a 100mila euro dichiarati. Da gennaio anche i professionisti che svolgono un lavoro dipendente o hanno un reddito da pensione avranno la possibilità di utilizzare il forfettario, esclusi coloro che svolgono attività prevalentemente nei confronti di uno dei datori di lavoro dei due anni precedenti o, in ogni caso, nei confronti di committenti direttamente o indirettamente riconducibili a questi.

Dovrebbe anche essere confermata la tassazione ultra agevolata per chi avvia una nuova attività. Aliquota al 5% per cinque anni per chi non ha esercitato, nei tre anni precedenti all’apertura della partita IVA,  attività professionale o d’impresa, anche in forma associata o familiare, e non prosegua un’altra attività svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo.  Escluso da questo divieto il periodo di praticantato obbligatorio.