Nazionalizzazione Bankitalia. “Non ha alcun senso”

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Riportare Bankitalia ad Ente pubblico come nel 1936? Per i Presidenti delle Casse di previdenza che vi hanno investito la proposta “Non ha alcun senso” e ” si può ben capire il danno economico che ne seguirebbe se fosse portata avanti”.

Nel mirino la proposta di legge, voluta da Fratelli d’Italia, sostenuta da alcuni parlamentari del Movimento 5 Stelle, incardinata in commissione Finanze alla Camera (prima firmataria la leader del partito, Giorgia Meloni), che vuole la nazionalizzazione della Banca d’Italia, trasferendo quote di capitale detenute da soggetti privati al Ministero dell’economia, acquistandole al valore nominale del 1936.

Allora il capitale valeva 300 milioni di vecchie lire, 156mila euro di oggi. Una cifra lontanissima dai 7,5 miliardi rideterminati tra il 2013 e il 2015, con la revisione dello Statuto di via Nazionale e la dematerializzazione delle quote.

E mentre Il Governo rimanda alle prossime sedute la definizione più puntuale di un parere sui contenuti del provvedimento (ancora non è stato definito il termine per la presentazione dei relativi emendamenti), alcune Casse di previdenza, azioniste di Banca d’Italia dichiarano il proprio no deciso alla proposta.

Il. Presidente dell’AdEPP e dell’Enpam, Alberto Oliveti, critica, dai microfoni dell’Ansa, l’idea di “un ritorno al futuro, ai tempi del 1936”, quando, cioè “gli azionisti privati furono espropriati”.

Walter Anedda, Presidente della Cassa dei dottori commercialisti, sottolinea: “Noi abbiamo investito 225 milioni di euro che se fossero rimborsati al valore nominale pre-privatizzazione porterebbero a una perdita secca di almeno un pari ammontare, si può ben capire il danno economico che ne seguirebbe se il progetto di legge fosse portato avanti”.

“Nella Banca d’Italia le Casse hanno investito oltre il 15% delle quote – tuona il Presidente di Inarcassa, Giuseppe Santoro – pensare di rimettere in discussione quell’investimento è bizzarro e destabilizzante”.

La norma, secondo i tecnici del servizio studi della Camera, “dispone il trasferimento delle quote ex lege, ad un valore nominale sensibilmente inferiore all’attuale e sembra plausibile ritenere che dalla riduzione forzosa del valore delle quote discenda l’obbligo di indennizzare gli attuali partecipanti secondo i principi generali dell’ordinamento, in quanto tali soggetti privati sono titolari di posizioni giuridiche tutelate ex lege”.

“Successivamente alla riforma del 2013 – spiegano i tecnici – sono state negoziate quote di partecipazione in misura pari al 33% circa del capitale della Banca, nella generalità dei casi al valore fissato ex lege di 25mila euro, per un controvalore complessivo delle operazioni pari a circa 2,5 miliardi di euro”.