Il marcato incremento delle persone in cerca di occupazione e la perdita di posti di lavoro derivante dalle difficoltà del sistema produttivo hanno conseguenze per il tasso di disoccupazione che raggiungerebbe il livello del 9,5% nel 2012 e del 9,6% nel 2013. Lo comunica l’Istat nel rapporto su “Le prospettive per l’economia italiana nel 2012-2013”.
La contrazione dell’attività economica prevista per il 2012, spiega l’Istat, si rifletterebbe in una riduzione complessiva dell’input di lavoro, espresso in termini di unità di lavoro equivalenti a tempo pieno (-0,6%). Questa flessione è superiore alla diminuzione delle persone occupate (-0,4%), per effetto del significativo ricorso alla Cig. L’evoluzione dell’attività economica attesa per il 2013 è prevista portare a un graduale miglioramento della dinamica occupazionale: l’input di lavoro mostrerebbe un recupero nel 2013 (+0,3%).
La marcata riduzione degli investimenti fissi lordi (-5,7%) e’ causata dalle difficolta’ di accesso al credito da parte delle imprese e dalla debolezza della domanda attesa. La diminuzione dell’occupazione e la perdita di potere d’acquisto sono previste comprimere la spesa per consumi delle famiglie (-2,1%). Le misure di consolidamento della finanza pubblica avranno un impatto negativo sui consumi collettivi.
Il prossimo anno, continual’ istituto di ricerca, la crescita del commercio mondiale dovrebbe sostenere le esportazioni italiane (+4,0%), anche se il contemporaneo incremento delle importazioni (+2,3%) attenuerebbe il contributo positivo alla crescita del Pil. Si prevede anche una stagnazione della domanda interna, con i consumi delle famiglie che contribuiranno negativamente alla dinamica del Pil (-0,2%).
Il rapporto annuale elenca anche i fattori che negli ultimi dieci anni hanno inibito la crescita della produttivita’. Tra questi scarsi investimenti, sommerso e poche infrastrutture. Rispetto alla media dei paesi Ue27, l’Italia ha registrato un differenziale di crescita reale annuo della produttivita’ pari a -1,2 punti percentuali. Colpa degli scarsi investimenti in ricerca e sviluppo, investimenti pubblici ridotti, carenze rilevanti nella dotazione e nell’efficienza dei fattori materiali ed immateriali a sostegno della competitivita’ delle imprese domestiche e per attrarre investimenti diretti esteri, tempi della giustizia lunghi, sommerso.
Inoltre “le nuove misure del capitale umano definite dall’Ocse – si legge nella ricerca – confermano per l’Italia una posizione poco favorevole rispetto ad altri paesi. Dalla fine degli anni Novanta la crescita del capitale umano in Italia e’ legata sia all’aumento del tasso di occupazione sia all’innalzamento del livello di istruzione della popolazione. Il livello medio di scolarita’ rimane pero’ ancora distante dalla media europea”. E ancora: nel 2010 la quota di spesa in ricerca e sviluppo sul Pil e’ pari all1,26 per cento contro il 2 per cento della media Ue. Anche la capacita’ brevettuale e’ molto contenuta: nel 2009 in Italia sono stati registrati 82 brevetti per mille abitanti a fronte dei 116 della media Ue. In termini di efficienza dei servizi logistici, nel 2010 l’Italia si posiziona al ventiduesimo posto nella classifica della Banca Mondiale. Altro punto dolente i tempi e i costi della giustizia civile che nel nostro paese sono ancora troppo elevati. Nel 2008 sono stati avviati 4.768 processi ogni abitante in materia civile e commerciale, un valore quasi doppio di quello della Francia (2.728), cinque volte superiore a quello della Danimarca (1.090) e quasi dieci volte superiore al valore della Svezia (559).
E per finire l’Istat punta il dito contro il sommerso definendolo una vera e prorpia piaga. In Italia l’economia sommersa e’ un fenomeno rilevante che influenza negativamente il posizionamento competitivo del sistema paese. L’entita’ del valore aggiunto prodotto dall’area del sommerso economico e’ stimata per il 2008 in una “forbice” compresa tra 255 e 275 miliardi di euro, ovvero tra il 16,3 per cento e il 17,5 per cento del Pil. Il peso del sommerso sul Pil risulta in riduzione rispetto al 2000, quando era compreso tra il 18,2 per cento e il 19,1 per cento. Questa diminuzione si e’ realizzata grazie all’azione positiva degli interventi normativi riguardanti il mercato del lavoro e alla regolarizzazione degli stranieri con un’occupazione stabile. L’effetto della crisi ha, tuttavia – conclude il Rapporto – verosimilmente allargato l’area dell’economia sommersa.






