Report. Itinerari Previdenziali. “Crisi del welfare”

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“Assistiamo alla crisi del welfare”, è quanto denuncia Itinerari previdenziali che ha presentato a Roma alla Camera dei Deputati, il suo settimo rapporto “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2018”.

Secondo lo studio, continua ad aumentare il numero degli occupati (23.215.000 a fine 2018), mentre decresce rispetto al 2017 quello dei pensionati (16.004.503, il più basso degli ultimi 22 anni). E questa è la buona notizia. Ma, “se la spesa pensionistica non preoccupa – si legge nel rapporto – è ancora una volta la spesa per assistenza a confermarsi il vero punto debole del sistema di protezione sociale italiano. Nel 2018, l’insieme delle sole prestazioni assistenziali (prestazioni per invalidi civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali e pensioni di guerra) totalmente a carico della fiscalità generale ha riguardato 4.121.039 soggetti, 38.163 in più rispetto allo scorso anno, per un costo complessivo di 22,350 miliardi, importo in costante aumento nel corso degli ultimi 8 anni. E benché le altre prestazioni assistenziali (integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali e importo aggiuntivo) si riducano, con la sola eccezione della quattordicesima mensilità, i beneficiari di prestazioni totalmente o parzialmente assistite sono 7.889.693, vale a dire il 49,3% dei pensionati totali.

“Fa oggettivamente riflettere che un Paese appartenente al G7 come l’Italia abbia quasi il 50% di pensionati totalmente o parzialmente assistiti (soggetti che in 66 anni di vita non sono riusciti a versare neppure 15/17 anni di contributi regolari) – ha commentato Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – perché questa situazione non sembra corrispondere alle effettive condizioni economiche italiane, tanto più che, a differenza delle pensioni finanziate da imposte e contributi, queste prestazioni gravano per 33,4 miliardi sulla fiscalità generale e non sono neppure soggette a imposizione fiscale. Il nocciolo del problema è che mentre le prestazioni previdenziali sono state ridotte a mezzo di stringenti riforme che hanno comunque colto l’obiettivo di stabilizzare la spesa, quelle assistenziali continuano ad aumentare sia per le continue promesse politiche sia per l’inefficienza della macchina organizzativa, priva di un’anagrafe centralizzata e di un adeguato sistema di controlli”.

Il “peso” del welfare nel bilancio statale

Sono tre in particolare i rapporti che danno l’idea dell’incidenza del welfare sulla vita economica del Paese: quello sul PIL, che supera il 26%; quello sul totale delle entrate contributive e fiscali, arrivato al 56,62%; e quello sulla spesa totale, che si attesta al 54,14%: in buona sostanza, al welfare è destinato un quarto di quanto si produce o più della metà sia di quanto si incassa sia di quanto si spende in totale. Dati che, secondo Alberto Brambilla, vale la pena rimarcare per almeno due ordini di ragioni “Innanzitutto perché, trascinata soprattutto dalla spesa per assistenza, la spesa sociale continua a crescere a un ritmo che tuttavia sarà difficilmente sostenibile negli anni a venire. E, in secondo luogo, perché si tratta comunque di un valore che ci consente di sfatare uno dei tanti luoghi comuni sull’Italia, quello secondo cui il nostro Paese spederebbe poco per il welfare”.

Per il settimo report, altro punto critico da rimarcare è poi quello del finanziamento di questo sistema di welfare, tanto generoso quanto vulnerabile: per la spesa per previdenza, sanità e assistenza nel 2018 sono stati necessari 462,114 miliardi, vale a dire che si è dovuto attingere a tutti i contributi sociali e di scopo quando previsti, a tutta l’IRPEF (finanziata peraltro in parte dagli stessi pensionati), tutta l’IRES, tutta l’IRAP e quasi tutta l’ISOS.

“Quindi, per finanziare il resto della spesa pubblica (istruzione, giustizia, infrastrutture, etc), non rimangono che le residue imposte indirette, le altre entrate e soprattutto non resta che fare nuovo debito”, chiosa il Prof. Brambilla.

Prospettive di breve e medio-lungo periodo

Pur ribadendo quindi la necessità di una separazione tra previdenza e assistenza e rivelando proprio in quest’ultima le maggiori criticità, lo stesso Rapporto nel delineare le prospettive future del sistema previdenziale rileva qualche possibile ombra, dovuta in particolar modo alle modifiche introdotte dal decreto legge 4/2019 (tra cui anche il pensionamento anticipato con Quota 100).

“Malgrado un incremento del tasso di occupazione complessivo, sicuramente Quota 100 porterà a un incremento delle pensioni in pagamento e quindi all’interruzione di un trend di miglioramento del rapporto attivi/pensionati che durava orma da diversi anni. Se, come auspicabile – ha aggiunto Brambilla durante la presentazione dello studio – non ci saranno però altre agevolazioni o forme di anticipo, la riduzione delle pensioni dovrebbe proseguire anche nel prossimo decennio, grazie ai due stabilizzatori automatici della spesa (adeguamento alla speranza di vita dell’età pensionabile e dei coefficienti di trasformazione) e alla progressiva cancellazione delle prestazioni di lungo corso che, con decorrenza superiore ai 38 anni, erano addirittura 653mila al 31 dicembre 2018”.

Secondo il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali il sistema avrebbe bisogno di una revisione strutturale e più coraggiosa, dopo anni di salvaguardie e provvedimenti a tempo che hanno tutelato ora questa ora quella categoria di lavoratori, senza garantire stabilità ed equità. Muovendo dunque dal presupposto che Quota 100 è stata una risposta incompleta e costosa a un problema reale.

E il report così si riasusme:

Benché in leggera crescita, la spesa pensionistica è sotto controllo: nel 2018, ha raggiunto i 225,593 miliardi (contro i 220,843 del 2017); sempre più insostenibile appare invece il costo delle attività assistenziali a carico della fiscalità generale: 105,666 miliardi di euro nel 2018, con un tasso di crescita annuo dal 2008 pari al 4,3%

Parallelamente all’aumento del tasso di occupazione complessivo, prosegue anche nel 2018 la lenta ma progressiva diminuzione del numero dei pensionati: il rapporto attivi/pensionati tocca quota 1,4505, valore prossimo all’obiettivo dell’1,5. Ancora da valutare però il possibile impatto negativo di Quota 100

La spesa per prestazioni sociali (pensioni, assistenza e sanità) in Italia incide per il 54,14% sull’intera spesa pubblica comprensiva degli interessi sul debito: l’incidenza rispetto al PIL, considerando anche altre funzioni sociali e le spese di funzionamento degli Enti che gestiscono il welfare, sfiora il 30%, uno dei valori più alti nell’Europa a 27 Paesi

Per finanziare il generoso sistema di welfare italiano, sono occorsi 462,114 miliardi, vale a dire tutti i contributi sociali e di scopo (quando previsti), tutta l’IRPEF, tutta l’IRES, tutta l’IRAP e quasi tutta l’ISOS: sempre più residue dunque le risorse da destinare a crescita e sviluppo del Paese

Un accorto monitoraggio della spesa assistenziale, anche attraverso l’istituzione di un casellario centrale, e il contrasto dell’evasione fiscale e contributiva le questioni più urgenti ai fini della sostenibilità del sistema

 

Il Settimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano è disponibile sul sito Itinerari Previdenziali al seguente link:  http://www.itinerariprevidenziali.it/site/home/biblioteca/pubblicazioni/settimo-rapporto-bilancio-del-sistema-previdenziale-italiano.html