Smart working. Fadda, Inapp “Cogliere la positività”

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“Se si coglie l’impulso verso lo smart working provocato dalla presente pandemia per procedere a una profonda trasformazione dei processi produttivi e dell’organizzazione del lavoro basata sulle tecnologie digitali, allora veramente può cambiare in positivo la qualità del lavoro e cambia sicuramente il sistema delle professioni e delle competenze richieste ai lavoratori. Infatti tutti i lavori verranno di fatto impregnati pienamente dalle tecnologie informatiche e a tutti i lavoratori verrà richiesto un elevato livello di capacità cognitive e di padronanza delle tecnologie digitali” così il Presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda in un’intervista pubblicata sia su Formiche sia su Corriere  Comunicazioni.

“La pandemia è stata come una frustata che ha costretto le aziende ad adottare nuove forme di lavoro verso le quali già da tempo si orientavano studi e sperimentazioni, ma che la maggior parte delle aziende neanche prendeva in considerazione. Ora – sottolinea Fadda – bisogna non sprecare questa occasione e fare in modo che ciò che l’emergenza ha in molti casi trasformato in semplice  telelavoro diventi l’avvio di un processo di ristrutturazione dei processi produttivi e dell’organizzazione lavorativa”.

E prosegue: “In una ristrutturazione saggia dei processi produttivi basata sullo ‘smart working’ la socialità, la collaborazione, lo spirito di gruppo, la partecipazione interattiva costituiscono tutti aspetti che devono essere rafforzati. Ma perché questo sia realizzato occorre non solo una crescita delle competenze e della cultura del lavoro da parte dei lavoratori, ma anche una grande capacità manageriale e gestionale da parte degli imprenditori e dei responsabili delle organizzazioni”.

E sulle nuove tecnologie il Presidente Inapp sottolinea “Ci sono professioni le cui attività si possono più facilmente svolgere da casa come nell’industria finanziaria, bancaria e assicurativa, nella pubblica amministrazione e nella maggior parte dei servizi professionali. Oltre questi, proprio per l’emergenza coronavirus, c’è da considerare anche la didattica nelle scuole e nelle Università svolta completamente da remoto. Tutto questo si è potuto realizzare grazie alle tecnologie che ci consentono di svolgere dei compiti che fino a pochi anni fa potevamo fare solo dall’ufficio. Ora possiamo lavorare, mandare mail, scrivere progetti, stendere relazioni, fare meeting, perfino studiare attraverso i nostri device. Non è più importante dove siamo fisicamente ma se siamo “connessi”, quindi potenzialmente sono molti i settori che sono stati e saranno impattati da questo cambiamento”.

Ma non solo. “Consentono di reingegnerizzare i processi produttivi inserendo in essi forme di attività lavorative basate su flessibilità sia riguardo al luogo dove avviene la prestazione (casa, altri uffici, spazi differenziati nell’ambito degli stessi locali dell’azienda, etc), sia riguardo ai tempi di lavoro da remoto (di solito due o tre giorni a settimana, con nucleo di orario fisso e il resto variabile, pianificazione articolata a seconda dell’area di business aziendale, etc). Nei casi di strutture produttive di carattere ciber-fisico, con presenza di processi robotizzati, di macchine che dialogano con macchine, di “internet of things”, si tratta di combinare adeguatamente la flessibilità del lavoro da remoto con il funzionamento di questi meccanismi. Nel caso di imprese del settore terziario sono soprattutto la connettività permanente, l’accesso condiviso ai dati dell’impresa, la possibilità di mantenere i legami con gli altri operatori a dover essere garantiti. In tutti i casi, per realizzare un vero smart working è necessario un profondo cambiamento culturale unito ad una sviluppata capacità manageriale in grado di pianificare le attività incorporando nell’azienda tutte le possibilità offerte dalle nuove tecnologie, di adottare un’ottica di valutazione riferita al risultato, più che alla “presenza”, di coinvolgere e motivare tutto lo staff, di stimolare la responsabilità, la creatività e la partecipazione, di gestire una forza lavoro obiettivamente più “dispersa”.

Lavoreremo quindi solo in smart working? “Sicuramente no – conclude il Presidente Fadda nell’intervista – Questa è una caratteristica nata con il “lockdown” e destinata a morire con esso. L’organizzazione del lavoro in smart working non prevede questo. Essa prevede il lavoro “da remoto” come complementare e non come sostitutivo del lavoro in presenza. In una ristrutturazione saggia dei processi produttivi basata sullo smart working la socialità, la collaborazione, lo spirito di gruppo, la partecipazione interattiva costituiscono tutti aspetti che devono essere rafforzati. Ma perché questo sia realizzato occorre non solo una crescita delle competenze e della cultura del lavoro da parte dei lavoratori, ma anche una grande capacità manageriale e gestionale da parte degli imprenditori e dei responsabili delle organizzazioni”.