Metà stipendio, meno possibilità di occupazione e differenze di redditi. È il quadro che emerge dalla relazione sul bilancio di genere del ministero dell’Economia. Il dossier, presentato dalla sottosegretaria all’Economia Cecilia Guerra durante l’audizione in commissione Bilancio di Senato e Camera, focalizza l’attenzione sul gender gap italiano e ne sottolinea le disuguaglianze che colpiscono le donne nel mondo del lavoro. Dalle differenze di reddito al tasso di occupazione i dati sono decisamente sconfortanti.
“L’Eu Gender Equality Index ha sì visto l’Italia guadagnare 12 posizioni tra il 2005 e il 2017, ma il nostro rimane l’ultimo Paese in termini di divari nel dominio del lavoro” ha sottolineato la sottosegretaria.
Lo scorso anno, infatti, il tasso di occupazione femminile risultava ancora inchiodato al 50,1% (e con la pandemia è sceso di nuovo sotto questa soglia), marcando una distanza di ben 17,9 punti percentuali da quello maschile. I divari territoriali sono molto ampi: il tasso di occupazione delle donne è pari al 60,2% al Nord e al 33,2% al Sud.
Quasi il 40% delle donne sono occupate in tre macro settori: commercio, sanità e assistenza sociale, istruzione. Nelle donne tra i 25 e i 49 anni il gap occupazionale è del 74,3% tra quelle con figli in età prescolare e quelle senza figli.
Per la sottosegretaria “Uno dei sintomi più evidenti delle evidenti difficoltà di conciliare vita lavorativa e vita professionale”.
Le differenze di reddito
In particolare, la relazione evidenzia che il reddito medio delle donne rappresenta circa il 59,5% di quello degli uomini a livello complessivo. La diversità dei redditi si riflette anche nel gettito fiscale con una minore aliquota media per le donne, con l’unica eccezione del più basso decimo di reddito. “Queste evidenze sulle disuguaglianze di genere nei redditi, quando non derivanti da vere e proprie discriminazioni sul mercato del lavoro a scapito delle donne – ha spiegato la sottosegretaria Guerra – sono in larga parte il riflesso della ‘specializzazione’ di genere tra lavoro retribuito e non retribuito, in virtù della quale le donne più frequentemente accettano retribuzioni inferiori a fronte di vantaggi in termini di flessibilità e orari”.
Cosa fare?
Per la sottosegretaria all’Economia Guerra: “in questo momento le risorse del pacchetto Next Generation Eu rappresentano un’occasione irripetibile per abbattere il divario tra donne e uomini nel nostro Paese e per riprogettare e potenziare i servizi pubblici di cura, unica leva per ridurre il carico di lavoro informale, non retribuito, che grava sulla popolazione femminile. Il Governo intende muoversi in questa direzione e vuole anche prevedere che i processi di definizione e successiva valutazione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza includano il più possibile valutazioni degli impatti di genere, accanto a quelli già previsti per la transizione ecologica e la trasformazione digitale”.
Inoltre “Il rafforzamento dei servizi pubblici di cura può produrre impatti positivi attraverso tre canali: l’alleggerimento dei carichi tradizionalmente gestiti nella sfera familiare, la maggiore domanda in un settore, quello della cura, ove è più alta la presenza femminile, la riduzione dei forti divari di opportunità di assistenza ed educazione che caratterizzano il nostro Paese”.
E per la Caritas, la povertà è giovane e donna
Rilevante appare il dato relativo ai profili socio-anagrafici degli assistiti dalle Caritas. L’emergenza sociale ha colpito maggiormente le donne, particolarmente svantaggiate e più fragili sul piano occupazionale. E proprio perché la pandemia ha solo messo in luce criticità endemiche di questo Paese, la povertà incide anche sui giovani tra i 18 e i 35 anni, da sempre molto deboli dal punto di vista occupazionale.
In aumento anche il dato relativo agli italiani rispetto agli stranieri assistiti dalle Caritas e le famiglie con figli minori a carico.
Una fotografia sul presente che la Caritas considera significativa per le letture sul futuro: “L’orizzonte di povertà per il prossimo futuro appare segnato da previsioni altamente pessimistiche se non si introdurranno importanti correttivi in grado di invertire tali tendenze“.