Bes. Il Covid livella le differenze tra nord e sud

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L’Istat ha pubblicato l’aggiornamento annuale del sistema di indicatori del Benessere equo e sostenibile dei territori e se da una parte si livellano le differenze tra Regioni e parti del Paese dall’altro lo studio sottolinea come alcuni “problemi” non solo permangono ma aumentano. E’ il caso dei neet, i ragazzi che non lavorano e non studiano, o della contrazione del mercato del lavoro,  in particolare sulle componenti più vulnerabili (giovani, donne e stranieri) che già partivano da condizioni occupazionali più difficili. E poi c’è l’indice che riguarda l’aspettativa di vita che con il Covid registra una brusca frenata (meno 1,2 anni)

“Il consueto gradiente nord-sud rimane una chiave di lettura adeguata per molte e importanti componenti del Bes, ma non tutte le differenze osservate tracciano confini netti tra le aree del Paese – si legge nel report –  Gli indicatori di Salute, Istruzione, Lavoro e Benessere economico illustrati anche se delineano divisioni nette e strutturali tra Centro-nord e Mezzogiorno, le distanze si sono tuttavia attenuate nell’ultimo anno per il peggioramento più marcato del Centro-nord dovuto alle più forti ripercussioni della crisi sanitaria in questi territori”.

Distanze ampie tra il Centro-nord e il Mezzogiorno si osservano anche per gli indicatori relativi alla Qualità dei servizi e all’Innovazione, ricerca e creatività illustrati di seguito, ma le divisioni non sono nette”.

Salute

Nel 2020, la diffusione della pandemia da Covid-19 e il forte aumento del rischio di mortalità che ne è derivato ha interrotto bruscamente la crescita della speranza di vita alla nascita che aveva caratterizzato il trend fino al 2019, facendo registrare, rispetto all’anno precedente, una contrazione pari a 1,2 anni. Nel 2020, l’indicatore si attesta a 82 anni (79,7 anni per gli uomini e 84,4 per le donne). A livello provinciale la speranza di vita si riduce nelle aree del Paese a più alta diffusione del virus durante la fase iniziale della pandemia. Tra queste, le province di Bergamo, Cremona e Lodi dove per gli uomini si è ridotta rispettivamente di 4,3 e 4,5 anni, seguite dalla provincia di Piacenza (-3,8 anni). Negli stessi territori sono ingenti anche le variazioni riscontrate tra le donne: -3,2 anni per Bergamo, -2,9 anni per Cremona e Lodi e – 2,8 anni per Piacenza. Riduzioni meno marcate si osservano a Brescia (-2,5 anni), Pavia (-2,4), Vercelli (-2,3 anni), Lecco e Parma (-2,2 anni) e, nel Mezzogiorno, nelle province di Foggia (-1,7) ed Enna (-1,5 anni). Siena è invece l’unica provincia italiana a non aver subito peggioramenti (83,7 anni sia nel 2019 che nel 2020). I cambiamenti delineati portano modifiche importanti nel ranking della speranza di vita per provincia, con Lodi, Bergamo, Cremona, Brescia, Piacenza e Parma che, ad esempio, rispetto al 2019, perdono più di 50 posizioni. L’indicatore di mortalità evitabile si riferisce ai decessi delle persone sotto i 75 anni di età che potrebbero essere significativamente ridotti grazie a interventi per migliorare adeguatezza e accessibilità dell’assistenza sanitaria e grazie alla diffusione nella popolazione di stili di vita più salutari e alla riduzione di fattori di rischio ambientali. Nel 2018, in Italia il tasso standardizzato di mortalità evitabile è pari a 17 decessi per 10mila residenti, con valori molto più elevati tra gli uomini (22,5 per 10mila abitanti contro 11,9 delle donne). L’indicatore registra una forte riduzione nel tempo (23,4 per 10mila nel 2005), grazie alla diminuzione della mortalità per alcune delle cause principali, come il tumore al polmone e le cardiopatie ischemiche, osservata specialmente tra gli uomini, con una conseguente riduzione del gap di genere.

Istruzione e formazione

Nell’anno di inizio della crisi pandemica, entrambi gli indicatori selezionati per l’analisi di questo dominio hanno subito un peggioramento, soprattutto al Centro-nord. Dopo alcuni anni di diminuzione, la percentuale di giovani che non lavorano e non studiano (Neet) torna a salire, raggiungendo nel 2020 il 23,3% in media-Italia (+1,1 punti percentuali rispetto al 2019). Il trend è accentuato al Nord (16,8%; +2,3 punti) e al Centro (19,9%; +1,8 punti). Il Mezzogiorno, che registra invece una contrazione modesta (-0,4 punti), resta comunque su livelli doppi rispetto al Nord, con circa un giovane di 15-29 anni su tre che non è inserito in un percorso di istruzione o formazione né è occupato (32,6%). La distribuzione tra le province mostra una evidente divaricazione tra l’area del Nord-est e la Sicilia, dove la quota di Neet tocca il 40% a Messina, Catania e Caltanissetta (Figura 3). Tuttavia, la provincia con il valore più alto del tasso è, anche nel 2020, quella di Crotone (48%), che marca una distanza notevole da Pordenone (10,7%), Ferrara (11,1%) e Sondrio (11,9%), le province più virtuose. In generale, tra il 2010 e il 2020 l’incidenza dei Neet aumenta per quasi i due terzi delle province.

Anche nel 2020 i livelli di partecipazione alla formazione continua, ovvero la percentuale di persone di 25-64 anni che hanno partecipato ad attività di istruzione e formazione nelle 4 settimane precedenti l’intervista, contrassegnano una distanza consistente tra il Centro-nord e il Mezzogiorno, ma la divisione tra le due aree non è netta. Le province meridionali restano prevalentemente su livelli bassi e distanti dalla media Italia (7,2%), ma ai valori minimi registrati a Trapani (2,6%), Caltanissetta (3,7%) e Messina (3,8%) si contrappone quello di Cagliari, che con il 16,5% è prima assoluta in Italia.

L’ultimo anno ha segnato un’inversione della tendenza di moderata crescita che, pur con andamento alterno, si è osservata a partire dal 2010 in maniera diffusa sul territorio nazionale. Il saldo 2010-2020 resta comunque positivo per la maggior parte delle province italiane. Il guadagno più significativo è quello di Bologna (con il 5,9% nel 2010 e il 14,1% nel 2020).

Lavoro e conciliazione dei tempi di vita

L’emergenza sanitaria seguita alla pandemia da Covid-19 ha avuto ripercussioni rilevanti sul mercato del lavoro, in particolare sulle componenti più vulnerabili (giovani, donne e stranieri) che già partivano da condizioni occupazionali più difficili. Il tasso di occupazione della popolazione in età compresa tra 20 e 64 anni in media Italia è sceso al 62,6% (era 63,5% nel 2019). Nonostante il calo abbia riguardato maggiormente il Nord del Paese, più colpito nella prima ondata pandemica del 2020, lo svantaggio del Mezzogiorno rimane elevatissimo, con un tasso di occupazione del 48%, rispetto al 71,5% del Nord e al 67,4% del Centro. I cali di occupazione più ingenti si osservano sia per alcune province del Mezzogiorno, come Sassari, dove il tasso di occupazione per le persone di 20-64 anni passa da 59,7% del 2019 a 53,6% (-6,1 punti percentuali), Vibo Valentia (-4,5 p.p.) e Siracusa (-4,1 p.p.), sia tra le province del Nord, tra cui Cremona (-4,5 p.p.) e Vicenza (-4 p.p.).

Tra le donne cali consistenti si rilevano anche nelle province di Benevento, Rovigo e Belluno. Nel 2020 le prime quattro province con i valori più elevati del tasso di occupazione sono nel Nord-est (Figura 5). La migliore in assoluto risulta Bolzano (77,2%), seguita da Bologna (76,6%), Forlì-Cesena (75,3%) e Trieste (75,1%). Quinta è Firenze (74,3%). All’opposto, tutte le province del Mezzogiorno si collocano nella coda della graduatoria nazionale. Le più penalizzate sono Crotone (35,6%) Vibo Valentia (40,0%), Caltanissetta (41,2%), Napoli (41,4%) e Foggia (42,6%). Tra il 2010 e il 2020 il tasso di occupazione è aumentato nella maggioranza delle province. Ciononostante è cresciuto anche il gap tra i territori, specialmente per gli uomini. La distanza tra la provincia con il tasso di occupazione maschile più basso e quella con il tasso più elevato passa da 27,8 punti percentuali nel 2010 a 36,4 p.p. nel 2020. Per le donne il divario territoriale, già molto ampio nel 2010 (44,2 punti percentuali di differenza tra la provincia con il tasso di occupazione femminile più alto e quella con il tasso più basso) aumenta ulteriormente nel 2020, arrivando a 48,4 punti percentuali.

Benessere economico

Nel 2020 in Italia continua a scendere il tasso di ingresso in sofferenza dei prestiti bancari alle famiglie, ossia il rapporto percentuale tra le consistenze delle nuove sofferenze nell’anno (prestiti a soggetti dichiarati insolventi o difficili da recuperare nel corso dell’anno) e lo stock dei prestiti non in sofferenza nell’anno, posizionandosi sullo 0,6%. Il trend di questo indicatore, che coglie almeno in parte la vulnerabilità finanziaria e le difficoltà delle famiglie, sembra non risentire in maniera evidente dell’effetto della crisi pandemica, grazie al potenziamento degli interventi a sostegno delle famiglie indebitate, alla tradizionale propensione al risparmio delle famiglie italiane e alla contrazione dei consumi nell’ultimo anno.

Politica e istituzioni

Nel 2020 in Italia le donne sono un terzo degli eletti nelle amministrazioni comunali, con una maggiore incidenza nei Comuni del Nord-est e delle Isole, rispetto alla situazione più sfavorevole del Mezzogiorno, dove, ad eccezione di alcune province pugliesi (Barletta-Andria-Trani, Taranto, Brindisi, Lecce) e di Matera, la presenza maschile è sopra il valore medio nazionale.

Rispetto al 2010 la partecipazione delle donne nelle amministrazioni comunali, seppur ancora contenuta, è in crescita (+14 punti percentuali). Il trend ha interessato in modo particolare le amministrazioni comunali della Sicilia, dove l’incremento registrato dal 2010 al 2020 non è mai al di sotto dei 23 punti percentuali, toccando i 29 punti nella provincia di Agrigento. Anche nelle altre province meridionali si registra un aumento marcato, che ha ridotto in modo significativo l’ampio divario iniziale rispetto al Centro-nord; in particolare, nel decennio considerato l’incidenza si è più che triplicata nella città metropolitana di Napoli e nella province di Brindisi e Barletta Andria-Trani le quali hanno recuperato la più sfavorevole condizione di partenza (valori prossimi all’8% nel 2010).

Gli amministratori comunali con meno di 40 anni sono il 28,4% sul totale degli eletti nei Comuni italiani in carica al 31 dicembre 2020. Il valore è in calo di 3 punti percentuali rispetto al 2010. L’accesso dei più giovani alle cariche elettive comunali non appare favorito dal contesto metropolitano: le città metropolitane, infatti, si attestano generalmente su livelli inferiori a quelli delle rispettive regioni di appartenenza. Fanno eccezione Bologna (30,8%), Firenze (34,4%), Messina (34,6%) e Palermo (35

Nelle amministrazioni municipali del Centro e del Nord-est la presenza di under 40 è generalmente in linea con la media Italia, ma il pattern geografico si presenta più eterogeneo: valori particolarmente bassi si osservano a Trieste (13%) – il valore minimo in Italia – e a Rimini (21,5%), mentre il massimo si raggiunge nella provincia autonoma di Trento (36,9%). Bassi livelli si riscontrano più diffusamente nel Nord-ovest del Paese, dove soltanto le province di Brescia, Sondrio, Bergamo e Aosta si collocano sopra la media nazionale (tra il 31,5% e il 32,9%).

Ambiente

Produrre meno rifiuti e aumentare la raccolta differenziata genera effetti positivi sull’ambiente e di conseguenza sulla salute e il benessere delle persone. Nel 2019, la produzione di rifiuti urbani in Italia si attesta a 30,1 milioni di tonnellate, pari a 503,6 chilogrammi per abitante; il 61,3% di tali rifiuti è stato soggetto a raccolta differenziata, il resto è stato depositato nelle discariche o smaltito negli inceneritori/termovalorizzatori, una quota ancora lontana (circa 4 punti percentuali) dall’obiettivo del 65% che il nostro Paese avrebbe dovuto raggiungere entro il 31 dicembre 2017.

In generale negli ultimi dieci anni in tutte le province si registra un incremento delle quote di raccolta differenziata, inoltre si riduce di circa 10 punti percentuali il divario tra il Nord e il Mezzogiorno. La concentrazione di PM2,5 misurata dalle stazioni presenti nei comuni capoluogo di provincia monitora l’inquinante atmosferico più nocivo per la salute umana secondo l’Oms, che fissa a 10 microgrammi per metro cubo (µg/m³) il limite massimo di concentrazione. Nel 2019 le maggiori concentrazioni medie annuali di PM2,5 si registrano al Nord, nei capoluoghi delle province presenti nel bacino Padano, in particolare Cremona, Vicenza e Padova (26 µg/m³), Brescia e Venezia (25 µg/m³) (Figura 18). Tra i capoluoghi del Mezzogiorno il valore più alto è ad Andria (24 µg/m³), al Centro il massimo è a Rieti, con 20 µg/m³. Le concentrazioni medie annuali più basse in assoluto si registrano a Salerno e Sassari (6 µg/m³).

Innovazione, ricerca e creatività

Il quadro territoriale è notevolmente eterogeneo, con diffuse debolezze strutturali cui si contrappongono i risultati significativi di pochi territori. La quota di Comuni con servizi per le famiglie interamente on line evidenzia grandi differenze territoriali, sostenute anche dalla dimensione dei Comuni. Nel 2018, in media, soltanto in un Comune italiano su quattro è possibile per le famiglie gestire interamente on line le procedure per l’accesso a uno o più servizi.

Al gradiente nord/sud si associa infatti la caratterizzazione dei territori: nelle città metropolitane, in particolare al Centro-nord, l’offerta di servizi comunali on line raggiunge generalmente livelli maggiori: dal 78,4% dei Comuni della città metropolitana di Bologna al 28,5% delle Amministrazioni comunali della città metropolitana di Torino. Un’eccezione è costituita dal territorio di Genova, ben al di sotto del livello medio nazionale (18,3%). Le città metropolitane del Mezzogiorno hanno valori più bassi di quelle del Centro-nord, ma generalmente superiori a quelli delle altre province della stessa regione.

Qualità dei servizi

La disponibilità di posti letto per specialità ad elevata assistenza in Italia, nel 2019, è di 3 posti letto ogni 10mila abitanti. Nei territori la situazione si presenta piuttosto articolata, con le province del Centro-nord collocate in modo più omogeneo su livelli superiori alla media Italia, mentre nel Mezzogiorno (in media 2,8 posti letto per 10mila abitanti) si evidenzia una certa eterogeneità e maggiore concentrazione territoriale, con un ristretto numero di province su valori più elevati. Tra tutte spicca Isernia, dove si contano ben 8,9 posti letto per 10mila abitanti. Il valore, trainato dalla presenza, nella piccola provincia molisana, di un centro ad elevata specializzazione, è il più alto in Italia.

A livello nazionale tra il 2011 e il 2019 la tendenza è decrescente e si accompagna a una redistribuzione territoriale dell’offerta, con cali nella maggioranza dei territori e incrementi di diversa entità in un numero ristretto di province. Gli incrementi maggiori riguardano sia alcune province che nel 2011 erano in posizione di relativo svantaggio – Agrigento (+25%), Grosseto (+25%) e Pistoia (+21,4%), Vicenza (+18,5%) – sia territori che già a inizio periodo si attestavano sopra la media nazionale, come Bologna e Palermo (+8,1% in entrambi i casi).

In Italia nel 2019 l’emigrazione ospedaliera in ambito extraregionale ha interessato circa 8,3 pazienti ricoverati su 100. Le differenze territoriali restano ampie e nette: si è spostato fuori dalla propria regione per motivi di cura il 10,9% dei residenti nel Mezzogiorno e il 9% di quelli del Centro. Le province con le maggiori capacità di risposta e di attrazione sono concentrate al Nord, dove l’emigrazione ospedaliera è molto più contenuta e stabile con una media pari al 6,3% nel 2019 (5,9% nel 2010). 10 La distribuzione provinciale evidenzia poli di attrattività e territori a più elevata mobilità sanitaria all’interno delle singole regioni. Il gradiente territoriale segue comunque la consueta direzione da nord a sud.