Ri-Generazioni. Dati, storie e prospettive post Covid

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Si è concluso, nei giorni scorsi, il “Festival della Statistica e della Demografia” organizzato a Treviso dall’Istat e dall’Istituto superiore della sanità.

“Il Covid-19 non solo ha messo in crisi le nostre sicurezze sanitarie ma sta mettendo in discussione anche altre dimensioni strutturali e istituzionali della realtà economica e sociale. Si sente pertanto da più parti come urgente la necessità di una riflessione approfondita sul lungo periodo -scrivono gli ideatori del Festival – Molti sono convinti che il vecchio mondo, quello che conoscevano fino a oggi, stia mutando e che non sarà più possibile tornare alla vecchia “normalità”. Un forte cambiamento sta avvenendo”.

Perché allora non mettere a confronto e riflettere “sui nuovi valori, equilibri e assetti su cui si sta riposizionando il mondo e le persone che lo abitano”.

Nel corso delle tre giornate sono stati proposti 35 eventi con 150 relatori, 21 Talk con 90 speaker e 5 spettacoli di info-entertainment. Particolarmente importanti i numeri delle presenze dopo due anni di pandemia. Ai laboratori hanno partecipato dal vivo oltre 250 ragazzi e altri 350 hanno seguito da remoto.

“Siamo un popolo potenziale di 32 milioni di abitanti, con tutte le conseguenze del caso in termini di lavoro, Pil e consumi – ha sottolineato  il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, –  Nel 2021 probabilmente non si riuscirà a raggiungere quota 400mila nati: Stiamo vivendo una situazione problematica. Il problema non è che la popolazione diminuisca, il problema è il ‘come’”.

Servirebbe un investimento da parte della politica per supportare la natalità, come in altri Paesi europei. “Non è che ci sia un’oasi felice – ha affermato ancora Blangiardo – tuttavia c’è chi sta meglio, per esempio i Paesi dell’Est e la Germania hanno recuperato da qualche anno, non hanno fatto miracoli ma hanno arrestato e invertito la tendenza. Ma non c’è da parte della società italiana l’investimento sul capitale umano”.

I DATI SULLA NATALITA’

Il primo resoconto della natalità segnala la straordinaria caduta della frequenza di nascite sotto la soglia simbolica delle mille unità giornaliere: la media è di 992 nati al giorno, a fronte dei 1.159 di gennaio 2020. Nel complesso, nel bilancio anagrafico mensile risultano iscritti in Italia 30.767 nati vivi, ossia 5.151 in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Scrive l’Istat: “Si tratta di una decrescita che, se valutata in termini assoluti, è stata sette volte più grande di quella registrata a gennaio 2020, allorché si ebbero 729 nati in meno rispetto allo stesso mese del 2019, mentre in termini relativi giunge a configurare una variazione negativa a due cifre (-14,3%), superiore di oltre dodici punti percentuali a quella corrispondente nel 2020”.

Bisognerebbe prendere in mano la situazione e vedere di riorientarla, di governarla – ha aggiunto Blangiardo –. Il problema non è che la popolazione diminuisca, il problema è come. La demografia si muove lentamente, la politica ha bisogno di risposte e obiettivi subito, perché per esempio si vota tra un mese. Non si è mai affrontato in maniera seria un problema serio, ma si è rimasti in attesa che si risolvesse da solo. Si è pensato che lo risolvesse l’immigrazione, che non è la soluzione ma un contributo. Tutto questo ha fatto sì – ha concluso – che si ci trovi di fronte a un problema e a un’accelerazione del fenomeno”.

Con il Piano di Ripresa e Resilienza abbiamo l’occasione, di nuovo, di spingere lo sguardo verso il futuro” ne è convinta l’ex Ministra del lavoro Elsa Fornero anche se “la pioggia di miliardi del Pnrr non sarà sufficiente a invertire il trend fatto di culle vuote e invecchiamento della popolazione. Non basta avere le risorse. Ci vuole un cambiamento nei nostri atteggiamenti, prima dicevo che dobbiamo recuperare lungimiranza e anche la voglia, che in questa Regione è molto presente, di guardare al futuro con innovazione e con una mente creativa, solida. Innovazione e investimenti sono quelli che ci portano ad avere aumenti di produttività e occupazione, in particolare per i giovani, e ad attrarre giovani e capitali”.

LE CONCLUSIONI

Un’attenzione particolare nella giornata conclusiva è stata data al lavoro e all’impresa, principale punto di partenza per la produzione di ricchezza. I due poli della discussione sono stati il lavoro a distanza e le tecnologie.

Dall’intervento di Marco Ceresa di Randstad Italia, la società leader al mondo nei servizi per le risorse umane, è risultato che il 59% delle imprese non farà più uso di smart working dopo il Covid, il 32% solo con meno del 30% dei dipendenti e il 3% delle imprese invece con tutti i dipendenti.

Ma il termine ‘dipendenti’ può ingannare perché indica i lavoratori a tempo indeterminato, e trascura autonomi e lavoratori a termine, come è stato messo in evidenza dal dibattito condotto da Davide Colombo, giornalista del Sole 24 ore, con Gianpaolo Oneto di Istat, gli economisti Bruno Anastasia e Pietro Garibaldi insieme a Marco Centra di Inapp. Si tratta di 12 milioni di persone che rappresentano una grandissima varietà di posizioni.

“A pagare di più – ha detto l’economista Pietro Garibaldi – sono stati invece i giovani precari e per questo propongo l’apertura di uffici per l’impiego in ogni quartiere, in ogni città alla stregua delle stazioni dei carabinieri”.

Il lavoro da casa ha provocato effetti contrastanti se ha portato beneficio all’ambiente per la riduzione dell’inquinamento ha però messo in crisi il lavoratore con figli minori in uno spazio ristretto evidenziando la necessità di interventi in tecnologia, senza tralasciare  i  ‘Big data e iper connessioni.