Spesa per la famiglia. Il nostro Paese è ancora indietro

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A sostenerlo l’ultima ricerca dell’Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche.

Il paper presenta in primo luogo una comparazione della spesa sociale a livello di Paesi OCSE, con particolare attenzione a quella per le famiglie. Il nostro Paese si trova più indietro rispetto ai Paesi dell’organizzazione e ai partner comunitari soprattutto per la componente in servizi della spesa, mentre non soffre di alcun ritardo nella componente in denaro né in quella costituita dai vantaggi fiscali.

L’Italia sotto la lente di ingrandimento

La spesa pubblica

Nel 2019, la spesa pubblica ‘sociale’ italiana ammontava al 28,2% del PIL: il nostro Paese risultava quinto a livello OCSE, appena dopo Francia, Finlandia, Belgio e Danimarca ma bene al di sopra della media OCSE del 20% del PIL di 31 su 38 Paesi membri che avevano dati disponibili.

Confrontando l’Italia con i sette Paesi che abbiamo selezionato si può notare che nel corso del tempo il rapporto fra spesa pubblica sociale e PIL è aumentato fortemente, verosimilmente a causa della caduta del denominatore (soprattutto nel 2009) e dell’incomprimibilità di molte voci facenti capo alla prima. In realtà, l’aumento in corrispondenza della prima grande crisi finanziaria è visibile anche per la Francia, la Finlandia e la Danimarca, ma non per la Germania, la Polonia e la Svezia. Il rapporto si abbassa comunque negli ultimi anni nei primi tre Paesi (di circa 1,6 punti percentuali dal 2015 al 2019), ma non in Italia, Germania, Polonia e Svezia. Il Paese slavo è quello più indietro in termini di spesa pubblica sociale sul PIL.

La spesa a favore delle famiglie

Quando si guarda la spesa a favore delle famiglie, i dati mostrano andamenti assai differenti. Anzitutto, secondo l’OCSE, i benefici a favore delle famiglie considerano quelle voci di spesa pubblica che supportano esclusivamente bambini e famiglie.

La spesa pubblica registrata in altre voci della spesa sociale, come la sanità o l’edilizia pubblica, non assiste esclusivamente le famiglie e quindi non può essere incluso in questo indicatore. Si possono pertanto individuare tre tipologie di spesa pubblica a favore delle famiglie:

– trasferimenti in denaro a favore delle famiglie con figli, ivi incluse le detrazioni per figli a carico, con livelli di assegno che possono variare con l’età dei ragazzi o che possono presentare delle soglie massime di reddito; assegni pubblici di supporto al reddito per il periodo di aspettativa per maternità o paternità o per genitori soli;

– spesa pubblica per servizi alle famiglie con figli (trasferimenti in natura), ivi inclusi il finanziamento e il sussidio diretto verso coloro che forniscono assistenza all’infanzia e verso le strutture di asilo per bimbi, supporto pubblico per la cura dei bambini mediante pagamenti destinati ai genitori, spesa pubblica per l’assistenza ai giovani e a strutture residenziali, spesa pubblica per servizi alle famiglie incluse i centri per le famiglie e i servizi di aiuto domestico per le famiglie con necessità;

– aiuti finanziari alle famiglie fornito attraverso il sistema fiscale, ivi incluse le esenzioni fiscali (ad esempio, gli assegni per i figli esclusi dall’imponibile fiscale); detrazioni dalle imposte o deduzioni dal reddito imponibile per figli a carico, crediti fiscali per figli a carico dedotti dalle passività fiscali.

Questo indicatore può essere disaggregato in trasferimenti in denaro e in natura ed è misurato unicamente in percentuale del PIL.

I dati mostrano come l’Italia si trovava nel 2017 al di sotto della media UE ma poco al di sopra di quella OCSE. La spesa sotto forma di servizi era leggermente più bassa rispetto alle altre tipologie. In effetti, nel 2017, la media UE di spesa sociale che prendeva forma di trasferimenti in denaro ammontava all’1,35%, come quella italiana, mentre quella OCSE era più bassa (1,16% del PIL dei 38 Paesi membri). La spesa in termini di riduzioni di tassazione era in Italia molto più alta che altrove (0,48% del PIL del nostro Paese a fronte di una media UE dello 0,29% e una media OCSE dello 0,23%), mentre era molto più bassa la quota di spesa per le famiglie che assumeva la forma di fornitura di servizi (rispettivamente 0,63% in Italia, 0,93% in UE, 0,95% nei Paesi OCSE)

Nel corso degli ultimi 3 anni per cui si hanno dati, in Italia tali voci di spesa hanno rappresentato poco meno del 2% del PIL, valore inferiore sia a quello tedesco, a quello danese, svedese e finlandese, che a quello francese. Balza all’occhio il forte incremento polacco del 2016.

Il sistema di benefici a favore delle famiglie in Italia prevede dei vantaggi (anche sotto forma di crediti fiscali) che dipende dal reddito: tale sistema è del tutto analogo a quello presente nei Paesi dell’Est d’Europa e negli altri Paesi meridionali, ed è anche diffuso in Estremo Oriente e nelle Americhe. In questo ultimo gruppo di Paesi, degno di nota è il caso dello Stato dell’Ontario in Canada, dove anche nell’acquisto di beni e servizi si può utilizzare un credito fiscale basato su un sistema di verifica del reddito.