Tra passato, presente e futuro: strategie politiche dell’Eppi

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di Valerio Bignami

In questi ultimi anni, l’attività degli Enti di Previdenza si è notevolmente trasformata, e i paradigmi di riferimento sono stati profondamente rivisitati.

La nostra mission si sta consolidando fondamentalmente su tre pilastri, che, seppur con proporzioni diverse, hanno una paritetica dignità ed importanza: la formazione di una pensione dignitosa che possa garantire un tranquillo periodo di quiescenza; un’assistenza che venga in soccorso alle difficoltà di carattere economico, sociale e di salute che i nostri colleghi possono subire nell’arco della vita lavorativa; il sostegno al lavoro e al suo sviluppo dall’inizio dell’attività alla sua cessazione.

Tutti questi ambiti impongono un’ingente disponibilità economica, che nei momenti di maggiore difficoltà come quello che stiamo attraversando, è un aspetto che assume criticità evidenti. Parafrasando il Primo Ministro Mario Draghi, è il momento di dare e non di chiedere.

La virtuosità che l’Ente di Previdenza dei Periti Industriali sta cercando di perseguire è l’equilibrio fra questi tre pilastri, individuando le giuste soluzioni, e soprattutto affermando quel senso di responsabilità che a volte inevitabilmente viene compromesso dalla contingenza, dagli eventi endogeni ed esogeni al nostro sistema. A volte questo equilibrio contrasta con una visione temporale di lungo termine. La cultura dell’immediato, del “tutto e subito”, del “pensiamo ad oggi, domani si vedrà” è sempre più radicata. Ma chi gestisce ed amministra un organismo previdenziale non può e non deve cadere in questa tentazione appagante dell’attualità, fortemente in contrasto con la necessità di una visione strategica di lungo termine.

Schematizzando il percorso che la Cassa di Previdenza dei Periti Industriali ha intrapreso negli ultimi anni si possono individuare tre fasi consequenziali.

La prima fase, come noto, parte dal D.lgs. 103/96 da cui le nostre casse originano. Il metodo di calcolo contributivo, che di conseguenza da 25 anni applichiamo, comporta un ridotto problema di sostenibilità ma un grande problema di adeguatezza. La prima necessità del nostro Ente è stata quindi quella di condividere con i liberi professionisti iscritti un percorso di progressivo innalzamento della percentuale del contributo soggettivo, assestandolo al 18% nel 2019.

È stato chiesto un grande sacrificio ai nostri colleghi Periti Industriali, tuttavia ricompensato dalle distribuzioni di quote del contributo integrativo e dalle maggiori rivalutazioni dei montanti oltre l’obbligo normativo della media quinquennale del PIL. Nello specifico, la distribuzione sui montanti previdenziali individuali del contributo integrativo e la loro maggiore rivalutazione, è un’operazione che reiteriamo dal 2014: superano i 211 milioni di euro le risorse aggiuntive totali caricate sui conti correnti previdenziali dei nostri colleghi liberi professionisti iscritti. Le riforme così adottate, sviluppate sul doppio binario della valorizzazione dei montanti previdenziali nelle annualità contributive che vanno dal 2012 al 2019, hanno permesso di raddoppiare il tasso di sostituzione netto tendenziale, posti 40 anni di anzianità contributiva, dal 21% del 2011 al 45% del 2019.

Oggi possiamo dunque affermare che tale sistema si sia consolidato, e possiamo ambire a perseguire e raggiungere un’adeguatezza dell’assegno pensionistico che sia almeno pari al 50% del reddito professionale prodotto nel periodo di attività lavorativa.

La seconda fase di sviluppo del nostro sistema è rappresentata dalla strutturazione del quadro dei benefici assistenziali, finalizzati a rispondere ai bisogni delle persone e del loro nucleo famigliare, sotto diversi ambiti di tutela, tra cui la salute, il sostengo alla natalità, all’istruzione dei figli, e così via. Fino a pochi anni fa, i benefici assistenziali erano concepiti come un complemento, episodico e saltuario, spesso dipendente da situazioni non oggettivamente riconducibili a vere necessità. Il lavoro più impegnativo, che ancora stiamo cercando di portare a compimento, è contrastare i “professionisti del sussidio”, che con redditi bassi e in molti casi non effettivi, accedono facilmente a contributi sistematici.

La terza fase di sviluppo del nostro sistema, ad oggi ancora in corso, si sostanzia nel sostegno al lavoro professionale. Questo è sicuramente l’ambito che più necessita un intervento verticale e strategico, non più legato alla straordinarietà o dipendente da situazioni emergenziali come quella che stiamo vivendo. Per creare una previdenza effettiva, certa e proporzionata alle esigenze, è necessario sviluppare e sostenere il lavoro dal primo giorno di attività fino all’ultimo. Il lavoro cioè che genera la previdenza e il risparmio previdenziale, utilizzato a sua volta per accrescere e sostenere lo sviluppo professionale: è la cosiddetta previdenza circolare.

Su questo fronte, i primi provvedimenti che in EPPI abbiamo adottato, seppur in via straordinaria e in riferimento ai negativi effetti della pandemia, possono essere sinteticamente ricondotti al sostegno per l’acquisto di attrezzature tecnologiche, per la formazione, per l’assunzione e la stabilizzazione di giovani collaboratori, fino all’aggregazione di diverse specializzazioni e professionalità stimolando la nascita di Società tra Professionisti, oggi più rispondenti alla richiesta di servizi onnicomprensivi e declinati su diverse professionalità e competenze. Si tratta di contributi che premieranno quanti hanno creduto ed investito nella professione nonostante la pandemia.

Il dato oggettivo è evidente ed esprime l’impegno dell’EPPI su questo fronte: in questi ultimi tre anni sconvolti dalla pandemia, abbiamo messo a disposizione degli iscritti ben 13 milioni di euro a sostegno dei bisogni economici e sanitari, erogando mediamente contributi pro capite di circa 2.500 euro.

Possiamo ritenerci soddisfatti? Certamente no, la strada è ancora lunga e lastricata di incertezze e difficoltà. Da soli non possiamo farcela, o meglio, non saremmo in grado di costruire un sistema adeguato e giusto. Che fare, dunque?

Personalmente ritengo che le azioni da compiere siano due, da esplicitare su due rispettivi fronti.

Da una parte, è necessario che lo Stato, nel rispetto della nostra autonomia, intervenga con politiche fiscali premianti. L’altro aspetto riguarda noi e il nostro sistema: dobbiamo essere capaci di reprimere le individualità per mettere a fattor comune più risorse materiali ed intellettuali, in una logica scalare e comunitaria, perseguendo la maggior efficienza ed efficacia dei servizi e delle prestazioni che eroghiamo. Questo il presente, ma il futuro?

Il futuro ritengo sarà caratterizzato da una profonda rivisitazione delle nostre strutture previdenziali. I fattori che dovrebbero ispirarci per definire la nostra “nuova visione” credo possano essere:

  • La difesa dell’autonomia, perché abbiamo dimostrato negli anni un’efficienza che difficilmente si palesa nella conduzione pubblica, e soprattutto perché la peculiarità di ogni professione esprime ricchezza di qualità e apporti a beneficio dell’intera società.
  • La flessibilità del nostro sistema, che troppe volte è mortificato dalla rigidità e dalle consuetudini burocratiche fini a sé stesse, che non portano altro che ad una dispersione di energie sottratte ad altre funzioni strategiche.
  • L’allargamento delle platee di riferimento, perché non è più proponibile una rigida riconduzione alla professione ordinistica di riferimento per l’iscrizione alla previdenza privata, così come appare non più giustificata la contrapposizione fra professioni ordinistiche ed associazioni. Se è vero che il 60% dei nati di oggi farà un mestiere che oggi non esiste, è più che mai attuale avviare un percorso di allargamento delle professioni con competenze ed aree d’intervento omogenee ed operanti in settori attigui.

Insomma, non solo la società in cui viviamo è liquida, ma pure l’universo professionale lo è altrettanto, e di conseguenza anche il nostro sistema previdenziale – privato e obbligatorio – deve esprimere tale caratteristica, sapendola gestire e soprattutto valorizzare.