Cassa Forense. Il futuro è sempre più rosa. “Al lavoro per riempire il vuoto del divario di genere”

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La femminilizzazione della professione forense e il divario di genere

di Valter Militi *

Nel 2020, tra gli iscritti a Cassa Forense, il numero delle donne ha superato, per la prima volta, quello degli uomini. I dati del 2021, in fase di consolidamento, indicano una sostanziale parità numerica tra i generi. In generale, nelle libere professioni, la percentuale di donne è superiore o molto simile a quella dei colleghi uomini. Permane invece, purtroppo, il “divario di genere”. La componente femminile risulta oggettivamente svantaggiata, nel mondo del lavoro, in termini di guadagno e di accesso alle carriere direttive.

Il problema sorge “fuori dai banchi di scuola”. Tra i laureati italiani le donne sono la maggior parte, circa il 60% [1], con performance pre-universitarie e di laurea migliori rispetto agli uomini.

Le cose cambiano quando dagli studi si passa al mondo del lavoro. I dati testimoniano lo svantaggio femminile nel breve e nel medio periodo tanto in termini di inserimento nel mercato del lavoro che di valorizzazione professionale. Dopo cinque anni dalla laurea e in presenza di figli, il divario di genere è molto marcato: sono soprattutto gli uomini a svolgere incarichi e attività di livello direttivo (2,2% tra le donne e 3,9% tra gli uomini) e a elevata specializzazione.

Dalla ricerca AlmaLaurea 2022 emerge altresì un meccanismo di ereditarietà più diffuso nella professione tra genitori e figli maschi e una maggiore propensione delle donne verso la stabilità del posto di lavoro e la coerenza con il percorso di studi. Probabilmente per tale ragione, i corsi di laurea in ambito STEM (science, technology, engineering, mathematics), le cui attività correlate richiedono maggiore mobilità lavorativa, sono preferiti dagli uomini, nella prospettiva di una maggiore possibilità di guadagno e di prestigio lavorativo.

Da notare che tra laureati STEM e tra coloro che si spostano per lavoro le differenze retributive si riducono:   il divario di genere, in parte, dipende dalle differenze tra le scelte formative e professionali.

Dai dati dell’Associazione degli Enti Previdenziali Privati emerge con chiarezza come il tema riguardi prevalentemente le libere professioni e molto meno il lavoro subordinato, con uno spread per il 2021 (redditi 2020) del 45%. Estendendo il confronto alle fasce di età, si nota come la forbice sia ridotta sui redditi bassi e per le professioniste sotto i 30 anni (circa il 4%), mentre cresca sensibilmente tra i 30-40 anni, si ampli ulteriormente tra i 40-50 e diventi ancora maggiore nella fascia 50-60 anni. Con età più elevata, il divario reddituale di genere torna a diminuire.[2]

La situazione all’interno dell’Avvocatura è speculare rispetto a quella degli altri liberi professionisti: il reddito professionale delle donne è di poco inferiore a quello degli uomini nella fascia 30-34 anni di età mentre cresce progressivamente con l’andare avanti della vita lavorativa. Tra i 40 e i 69 anni il reddito degli avvocati uomini è costantemente il doppio di quello delle colleghe.

Le cause di ciò, ovviamente, sono diverse: in prima battuta, la difficoltà di conciliare attività professionale e vita familiare, il cui carico ricade più frequentemente sulle donne. Ma incidono anche retaggi e stereotipi culturali che condizionano anche inconsapevolmente le scelte delle professioniste e le prospettive di successo nel lavoro.[3] E così, analogamente a quanto accade nella scelta dei corsi di laurea STEM, le donne raramente si indirizzano verso i settori di mercato più redditizi, nell’ambito della specializzazione professionale.

Cosa possiamo e dobbiamo fare?

Da un lato, individuare ed adottare misure pratiche per attenuare oggettive difficoltà. Sul piano legislativo, ad esempio, è stata evidenziata l’importanza di norme come quella che consente alle avvocate per gravidanza, maternità, adozione o affidamento, di avvalersi del legittimo impedimento a presenziare alle udienze.[4]

Sul versante previdenziale e assistenziale, la linea di intervento principale deve riguardare il tema della maternità/genitorialità: proprio in quella fase, come i dati ci indicano, si amplia la forbice reddituale tra uomini e donne. Misure dedicate possono aiutare a ridurre il gap.

Nei regolamenti di Cassa Forense, per compensare l’eventuale diminuzione di reddito in caso di maternità e adozione, vi è la possibilità di chiedere l’esonero dal pagamento dei contributi minimi (fino a un massimo di tre richieste/annualità). In ambito assistenziale, diversi interventi, declinati attraverso il sistema dei bandi, sono finalizzati alla conciliazione della vita professionale e familiare: si sono positivamente sperimentati  contributi per il pagamento delle rette degli asili e delle scuole materne, per le famiglie monogenitoriali, per le famiglie numerose, per nascita e adozione dei figli, ecc.

L’implementazione di tale modello deve costituire obiettivo concreto e prioritario di lavoro, anche perché un welfare strutturato contribuisce positivamente a rafforzare le scelte professionali delle donne, come rilevano i dati delle ultime ricerche Cassa/Censis.

Altro tema è costituito dai processi di governance della categoria, con una parità rappresentativa molto lontana dall’essere raggiunta, nonostante gli importanti passi in avanti degli ultimi anni.

Il superamento del divario di genere, in ogni ambito, richiede anche e soprattutto l’abbattimento degli ostacoli culturali e sociali che limitano le pari opportunità tra donne e uomini. Per questa ragione, promuovere occasioni di riflessione diventa fondamentale: piace ricordare il contributo delle delegate di Cassa Forense attraverso la realizzazione di un docu-film sul gender pay-gap e l’avvio di un percorso di approfondimento sul territorio, allargando la base di confronto oltre il mondo professionale.

Siamo al lavoro per riempire il “vuoto” del divario di genere, un vuoto che limita non soltanto la realizzazione professionale delle colleghe ma quella di tutta l’Avvocatura. Consapevoli delle tantissime cose da fare.

[1] Laureate e laureati: scelte, esperienze e realizzazioni professionali, Rapporto 2022 Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, www.almalaurea.it

[2] XI Rapporto Adepp sulla previdenza privata. I professionisti italiani, Centro Studi Adepp. www.adepp.info.it

[3] Luisa Rosti, Professionisti, ecco perché le donne guadagnano meno dei colleghi, Il Sole24Ore, 6 dicembre 2021

[4] Anna Tosi, Il gender pay gap nel lavoro autonomo e nelle libere professioni: quale soluzione?, Lavoro e Diritti Europa, 2/2021

*Presidente di Cassa Forense