La vittoria del saldo totale

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di Alberto Oliveti, presidente di Enpam e Adepp

La Corte dei conti ha consegnato la sua consueta relazione sugli ultimi bilanci dell’Enpam mettendo in evidenza risultati di cui possiamo essere francamente soddisfatti e toccando alcuni aspetti che riguardano tutto il mondo delle Casse dei professionisti.

Il documento, relativo al triennio 2018-2019-2020, ha promosso la Cassa per l’azione svolta durante l’emergenza Covid con l’obiettivo di introdurre nuove tutele per i medici e gli odontoiatri e ha rilevato un calo delle spese per gli organi collegiali (trend costante del -5% per ogni esercizio) e la corretta gestione economica e finanziaria dell’ente.

L’Enpam ha chiuso la stagione dei titoli strutturati, passati dai tre miliardi degli anni di maggiore esposizione (tra il 2001 e il 2009) fino allo zero del 2021.

Nei primi due anni considerati dalla Corte dei conti il risultato d’esercizio è cresciuto, prima della contrazione nel 2020 quando ha fatto comunque registrare un saldo positivo di 1.222 milioni di euro. Contemporaneamente, il patrimonio netto è aumentato superando a fine 2020 i 24 miliardi, valore che “eccede abbondantemente”, scrive la Corte, il limite fissato per legge delle cinque annualità per le pensioni in essere.

Ma è sulle analisi delle previsioni attuariali che la corte affronta il nodo a mio avviso più rilevante per il mondo delle casse dei professionisti. L’Enpam infatti sta per affrontare Il momento più delicato della “gobba previdenziale”. Molti medici e odontoiatri andranno in pensione e il saldo previdenziale – osserva la Corte – avrà valori negativi nel periodo 2027-2040, per poi tornare positivo.

E qui la memoria torna a un decennio fa quando l’allora ministro Fornero voleva imporre alle casse di professionisti uno stress test basato appunto sul saldo previdenziale. Il presupposto del ragionamento era che le casse dei professionisti funzionassero come gli enti di previdenza pubblici e cioè che fosse auspicabile arrivare a un equilibrio tra entrate contributive e uscite per pensioni in ogni dato anno per evitare che lo Stato dovesse andare in loro soccorso ripianando il deficit, come per esempio succedeva con l’Inpdap, che per questo fu in effetti soppressa (spostando peraltro il problema sull’Inps).

Il dialogo che all’epoca condussi per Enpam con il ministro Fornero la condusse ad accettare il criterio del saldo totale.
Ottenni cioè che fossero tenuti in considerazione anche i proventi derivanti dagli investimenti patrimoniali, una fonte di entrata che gli enti previdenziali pubblici non avevano proprio perché carenti di un patrimonio.

Quella del saldo totale fu una vittoria di cui oggi vediamo i risultati. Il saldo totale – scrive la Corte a proposito dell’Enpam – si mantiene sempre positivo e il patrimonio complessivo risulta costantemente in crescita.

Se fossimo rimasti vincolati al saldo previdenziale, avremmo invece dovuto chiedere sacrifici ancora maggiori agli iscritti attivi e ai pensionati, pur avendo da parte un patrimonio costituito da loro stessi.

Resta la stortura che questo patrimonio sia di fatto inutilizzabile se non per i proventi che genera. Tra le regole d’ingaggio al momento della privatizzazione c’era anche quella dell’autonomia finanziaria: per cui se questo patrimonio è stato costituito in vista di tempi di magra, in un momento demografico favorevole (tanti contribuenti e pochi pensionati), perché adesso che la gobba si sta presentando come previsto (tanti pensionati e un po’ meno contribuenti, più giovani) non possiamo attingere a quelle riserve?  Torna, come accade in maniera ricorrente, l’urgenza di ribadire per le Casse l’autonomia delle origini.