Come vivono gli italiani? Ce lo dice l’Istat

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L’Istat ha presentato la nona edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes), lo studio che analizza “lo stato della vita degli italiani” dopo due anni di pandemia, il 2020, anno dello shock dell’emergenza sanitaria, e il 2021, anno della ripresa economica e dell’occupazione, esaminando le differenze tra i vari gruppi di popolazione e tra i territori.

“La pandemia da COVID-19 – si legge nel rapporto – ha profondamente cambiato molti aspetti della vita quotidiana degli individui, delle famiglie, dell’organizzazione della società e del mondo del lavoro determinando nuovi assetti e continui cambiamenti che, di volta in volta, hanno avuto effetti sul piano della salute, dell’istruzione, del lavoro, dell’ambiente e dei servizi e, in conseguenza, sul benessere degli individui”.

12 i settori analizzati: Salute; Istruzione e formazione; Lavoro e conciliazione dei tempi di vita; Benessere economico; Relazioni sociali; Politica e istituzioni; Sicurezza; Benessere soggettivo; Paesaggio e patrimonio culturale; Ambiente; Innovazione, ricerca e creatività; Qualità dei servizi.

Due dati su tutti: durante la pandemia sono aumentati i Neet, giovani di 15-29 anni non occupati né inseriti in un percorso di istruzione e formazione ed è cresciuta la povertà. Nel Mezzogiorno, le persone povere sono in crescita di quasi 196mila unità e si confermano incidenze di povertà più elevate e in aumento, arrivando al 12,1% per gli individui (era l’11,1% nel 2020

 

Dal Benessere soggettivo a quello economico passando per il lavoro

 

Benessere soggettivo

Nel 2021 con il 46% di molto soddisfatti della propria vita si recuperano i livelli di benessere registrati prima del crollo avvenuto nel 2012. La percentuale di persone che riferiscono di essere molto soddisfatte per la propria vita (punteggio tra 8 e 10) è cresciuta nei due anni di pandemia, si attestava al 43,2% nel 2019 e al 44,3% nel 2020. L’incremento dei soddisfatti registrato proprio negli anni di pandemia è coerente con quanto riscontrato anche in altri Paesi.

I più giovani (14-19 anni) che avevano registrato un recupero più rapido della percentuale di molto soddisfatti per la vita rispetto ai valori del 2012, conoscono invece negli ultimi due anni un deterioramento significativo della soddisfazione per la vita, con la percentuale dei molto soddisfatti che passa dal 56,9% del 2019 al 52,3% del 2021. Inoltre, quasi 220mila ragazzi tra i 14 e i 19 anni si dichiarano insoddisfatti della propria vita (punteggio tra 0 e 5) e hanno una condizione di scarso benessere psicologico, con un punteggio dell’indice di salute mentale inferiore alla soglia che definisce la condizione di basso benessere psicologico, a indicare una accentuazione della situazione psicologica precaria.

La crescita del benessere soggettivo avviene nonostante la diminuzione forte, mai conosciuta dall’inizio della serie storica (1993), della soddisfazione per il tempo libero. Nel 2021 si rileva una perdita di soddisfatti per il tempo libero pari a 12,6 punti percentuali, dopo un aumento di 1,2 punti nel 2020, per attestarsi sul valore minimo (56,6%) mai registrato. Il calo è più accentuato tra le donne (-13,2 punti percentuali). Inoltre la situazione appare particolarmente critica per i giovanissimi, benché la percentuale di soddisfatti si mantenga la più alta (64,5%). La quota di 14-19enni che si dichiara soddisfatto scende infatti di oltre 20 punti percentuali rispetto al 2020, con un accento particolare tra le ragazze per le quali diminuisce di 26,1 punti.

La percentuale di persone che ritengono che la loro situazione personale migliorerà nei prossimi 5 anni sale al 31,9% nel 2021, raggiungendo il valore massimo finora osservato, ad indicare un sentimento di ottimismo verso il futuro, fondamentale per la crescita del Paese. Tale crescita fa seguito alla flessione di 1,4 punti percentuali che, nel 2020, aveva portato la quota sotto il 30% (28,7%), per effetto delle molte incertezze che hanno accompagnato il primo anno di pandemia. Diminuisce anche la percentuale di persone che ritengono che la propria situazione peggiorerà (dal 12,7% del 2020 al 10,2% del 2021)

 

Lavoro e conciliazione dei tempi di vita

Nel 2021 l’occupazione torna a crescere, recuperando però solo parzialmente le ingenti perdite subite a causa dell’emergenza sanitaria. Il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni sale al 62,7% (+0,8 punti percentuali), ma resta ancora al di sotto del livello pre pandemico. La dinamica mostra tuttavia un progressivo miglioramento nel corso dell’anno e nel quarto trimestre 2021 il tasso di occupazione torna superiore a quello del 2019 (+0,4 punti).

La ripresa del 2021 è stata più marcata per le donne (+1,1 punti percentuali sul 2020 rispetto a + 0,6 punti per gli uomini), i giovani (+2,1 punti tra i 20-34enni rispetto a +1,0 tra i 35-49enni e +0,1 tra i 50-64enni) e gli stranieri (+1,5 rispetto a +0,8 degli italiani), che erano stati i soggetti più colpiti dalla crisi del 2020. I divari territoriali, già diminuiti a causa dei peggiori effetti della pandemia sulle regioni del Centro-nord, continuano a ridursi e nel Mezzogiorno il tasso di occupazione torna ai livelli – ancorché bassi – del 2019 (48,5%). Tra i laureati la ripresa nel 2021 è stata più intensa rispetto agli altri livelli di istruzione e il tasso di occupazione raggiunge il 79,2% (+1,5 punti).

Nel 2021 il tasso di mancata partecipazione al lavoro si attesta al 19,4%, in calo (-0,3 punti percentuali) dopo il forte aumento registrato nel 2020 che aveva interrotto il trend decrescente. L’indicatore diminuisce soprattutto per i giovani fino a 34 anni (-1,7 punti), i laureati (-1,1 punti), i residenti nel Mezzogiorno (-0,7 punti) e le donne (-0,6 punti).

Nel 2021, l’11,3% degli occupati ha un part-time involontario, quota che arriva al 17,9% tra le donne (rispetto al 6,5% tra gli uomini). Si registra un lieve calo rispetto al 2020 (-0,5 punti) dovuto alla componente femminile (-1,6 punti), che vede aumentare la quota delle lavoratrici part time per scelta e, in misura molto minore, quella delle lavoratrici a tempo pieno.

Nel 2021 prosegue il ricorso al lavoro da casa come strumento per proseguire le attività produttive contenendo i rischi per la salute pubblica. La quota di occupati che hanno lavorato da casa almeno un giorno a settimana, che era pari al 4,8% nel 2019, passa dal 13,8% nel 2020, al 14,8%. Questa modalità di lavoro coinvolge soprattutto le donne (17,3% rispetto al 13% degli uomini), gli occupati del Centro e del Nord (rispettivamente 17,7% e 15,9% in confronto al 10,5% nel Mezzogiorno) e quelli con un titolo di studio elevato che sperimentano il lavoro da casa in più di un caso su tre.

Circa la metà degli occupati risulta molto soddisfatto del proprio lavoro, in aumento di un punto rispetto al 2020; la quota di molto soddisfatti è più contenuta per le opportunità di carriera e il guadagno, e più alta rispetto all’interesse per il lavoro svolto.

Dopo il peggioramento del 2020, nel 2021 migliora la percezione di insicurezza legata al proprio lavoro: la quota di occupati che ritengono probabile perdere l’occupazione e difficile trovarne un’altra simile scende dal 6,4% al 5,7%.

 

Benessere economico

Nel 2021, il reddito disponibile delle famiglie e il potere d’acquisto hanno segnato una ripresa, pur restando al di sotto dei livelli precedenti la crisi. La crescita sostenuta dei consumi finali ha generato una flessione della propensione al risparmio che, tuttavia, non è tornata ai valori pre-pandemia.

Nel 2021, pur in uno scenario economico mutato, la povertà assoluta si mantiene stabile, riguardando più di 5 milioni 500mila individui (9,4%). Il Nord recupera parzialmente il forte incremento nella povertà assoluta osservato nel primo anno di pandemia, anche se non torna ai livelli osservati nel 2019 (6,8%, 9,3% e 8,2% rispettivamente nel 2019, 2020 e 2021). Nel Mezzogiorno, invece, le persone povere sono in crescita di quasi 196mila unità e si confermano incidenze di povertà più elevate e in aumento, arrivando al 12,1% per gli individui (era l’11,1% nel 2020). Infine, il Centro presenta il valore più basso, sebbene anche in questa area del Paese l’incidenza aumenti tra gli individui passando da 6,6% nel 2020 a 7,3% nel 2021.

Nonostante il quadro in ripresa, il perdurare dell’emergenza sanitaria ha determinato nel 2021 un ulteriore incremento della quota di famiglie che dichiarano di aver visto peggiorare la propria situazione economica rispetto all’anno precedente: dal 29,0% del 2020 si arriva al 30,6% nel 2021, quasi cinque punti percentuali in più rispetto al 2019 (25,8%). L’aumento si riscontra in tutte e tre le ripartizioni geografiche, tuttavia nel Centro e, soprattutto, nel Nord l’incremento più elevato si attesta nel primo anno di pandemia, mentre nel Mezzogiorno soprattutto nel secondo anno.

Nel primo anno di pandemia gli indicatori non monetari che descrivono le condizioni di vita delle famiglie hanno registrato segnali di peggioramento, sebbene la grave deprivazione materiale riguardi una quota inferiore di individui rispetto al 2019.

La percentuale di coloro che vivono in famiglie dove gli individui hanno lavorato per meno del 20% del proprio potenziale è stata dell’11%, in crescita rispetto al 10% del 2019. Inoltre, una quota pari al 9% di persone ha dichiarato di arrivare a fine mese con grande difficoltà (in aumento rispetto al 2019 quando era pari all’8,2%). Anche gli individui che vivono in famiglie con una situazione di grave deprivazione abitativa crescono dal 2019 al 2020, passando dal 5,0% al 6,1%. Risulta invece stabile il rischio di povertà (20,0% degli individui da 20,1% nel 2019).