Recuperare i gap, puntando sulla crescita

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di Stefano Distilli*

Quello dei divari rappresenta un tema sempre più centrale e critico anche per il mondo delle professioni intellettuali, ambito nel quale la competitività e la capacità di stare sul mercato da parte del singolo professionista si legano principalmente a fattori e caratteristiche personali quali la preparazione, le competenze specialistiche, l’esperienza, le opportunità di networking, la disponibilità di tempo da dedicare all’attività, ma non possono prescindere allo stesso tempo dagli elementi di contesto generale e dallo scenario e grado di sviluppo economico del territorio nel quale si opera, che si riflettono inevitabilmente sulle prospettive professionali.

E i fattori e le dinamiche che generano e acuiscono le disparità rischiano di amplificarsi in un contesto come quello attuale che vede, dopo due anni di pandemia, aggiungersi un preoccupante scenario bellico dalle inevitabili e ancora in gran parte imprevedibili conseguenze in termini economici, a partire dall’inflazione crescente che, nel caso della libera professione, potrebbe avere ulteriori ripercussioni. Mentre, infatti, per il mondo del lavoro dipendente attraverso la contrattazione collettiva e i meccanismi di adeguamento delle retribuzioni sarà possibile mitigare gli effetti dell’inflazione, ciò risulterà molto difficilmente realizzabile per quanto riguarda le tariffe applicate dai liberi professionisti nei confronti dei relativi committenti, che con ogni probabilità non riusciranno a compensare l’incremento generale dei prezzi, con una conseguente effetto marginale di perdita di potere di acquisto rispetto ad altre platee di lavoratori.

Guardando nello specifico alla categoria dei dottori commercialisti, i fenomeni in atto mostrano che, probabilmente anche grazie alla sua natura anticiclica, la professione ha “tenuto” a livello di medie reddituali e di volumi di affari che, pur in maniera contenuta, continuano a seguire il trend di crescita registrato negli ultimi dieci anni. Un incremento che, secondo le elaborazioni svolte sulle dichiarazioni dell’ultimo decennio, è condiviso dalla categoria nel suo complesso senza i fenomeni di accentuata polarizzazione avvenuti invece a livello generale, come dimostra il fatto che nello stesso periodo l’incremento delle mediane è stato superiore rispetto a quello delle medie.

Ma in un contesto economico e sociale che mai come in questi anni ci appare precario e privo di certezze, molti e diversi sono i fattori dei quali dobbiamo necessariamente tenere conto, a partire da quell’inverno demografico che appare ormai fisiologico e parallelo alla crisi occupazionale in atto.

Come ente di previdenza, la questione del calo delle nascite e del progressivo invecchiamento della popolazione non può che toccarci da vicino, considerata la nostra mission principale che è quella di garantire trattamenti pensionistici adeguati ai nostri iscritti. E proprio per assicurare sostenibilità e adeguatezza occorre rimboccarsi le maniche e cercare nuove soluzioni che, ben oltre le aspettative che tutti condividiamo su quelli che saranno gli effetti del Pnrr, siano in grado di sviluppare equilibri nuovi come risposta all’inevitabile precarietà dello scenario, alimentando al tempo stesso quel patto tra generazioni che è alla base del nostro come di tutti i sistemi previdenziali a ripartizione.

Nel contesto attuale, l’auspicio di un intervento efficace e capillare in ambito pubblico per garantire sostegno a quanti vivono situazioni di fragilità e bisogno deve essere accompagnato, rispetto alla platea dei liberi professionisti che gode di tutele pubbliche più limitate, dalla prospettiva di un welfare privato che sia messo nelle condizioni di esercitare la propria funzione di supporto nel rispetto della propria autonomia gestionale e organizzativa, così come sancito dalle disposizioni che hanno in origine regolamentato le Casse di previdenza privatizzate e confermato più recentemente dalla Corte Costituzionale –  autonomia che viene messa sempre più in discussione attraverso interventi su vari fronti che sembrano prefigurare un tentativo di ri-pubblicizzazione delle Casse.

Solo in questo modo si può ambire a incrementare le coperture e definire strategie a sostegno dell’attività professionale nel suo complesso, puntando su elementi come la formazione, la specializzazione, le aggregazioni che rappresentano elementi strategici per recuperare i gap, puntando sulla crescita. In questo percorso le Casse e gli enti di previdenza come il nostro rappresentano un tassello di un mosaico complesso in cui ogni singolo attore è chiamato a fare la sua parte.

Occorre quindi una presa di responsabilità comune, anche da parte delle istituzioni e di tutti i soggetti che a diverso titolo sono chiamati a collaborare ed a creare sinergie, nella consapevolezza che quello della libera professione è uno scenario complesso e composito del quale è importante “misurare il polso” e analizzare in dettaglio le “disparità” in essere, per poter individuare e anticipare le tendenze in atto, ascoltare e interpretare i bisogni reali e implementare misure concrete che possano portare a una maggiore equità nell’accesso, nelle opportunità di sviluppo della propria carriera e nel conciliare i percorsi professionali e di vita.

L’auspicio quindi, richiamando Cioran che pur nel suo pessimismo scettico osservava come “se cambi il tuo atteggiamento verso le cose, finisci per cambiare le cose” è che una maggiore conoscenza dei fenomeni e delle dinamiche ci porti ad individuare soluzioni e strategie adeguate a questi tempi così incerti.

 

*Presidente Cassa Dottori Commercialisti

*articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 6 Luglio