Respinto tentativo di class action contro Enpam. Iscritto condannato

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Il Tar del Lazio ha respinto il tentativo di un iscritto di ridefinire il sistema previdenziale dell’Enpam con lo strumento della class action. Il professionista, un odontoiatra in pensione, è stato anche condannato a pagare quasi 4mila euro di spese legali all’ente previdenziale di medici e dentisti e ai ministeri del Lavoro e dell’Economia e delle finanze.

Nel dettaglio, il Tribunale amministrativo regionale ha dichiarato inammissibile un ricorso che mirava a cambiare la riforma della gestione previdenziale dei liberi professionisti (Quota B) approvata nel 2012.

“Il ricorrente – hanno scritto i giudici – pretende di utilizzare lo strumento giurisdizionale”, cioè la class action, per fini diversi da quelli previsti dal Legislatore, “nel tentativo di superare ed eludere le competenze degli Organi istituzionali rappresentativi della Fondazione e dei suoi iscritti”.

Inoltre, secondo i magistrati, era altrettanto chiaro il tentativo di aggirare le decadenze ormai maturate, visto che le delibere dell’Enpam e le relative approvazioni da parte dei Ministeri “vengono censurate per la prima volta a distanza di oltre un decennio dalla loro emanazione”.

Piuttosto, come scritto nella sentenza 7544/2023, il ricorrente – avrebbe dovuto presentare “proposte agli organi statutari che ­– in quanto rappresentativi e portatori degli interessi di tutti gli iscritti – sono abilitati ai sensi del decreto legislativo 509/1994 ad esprimere, nell’ambito delle procedure delineate dallo Statuto medesimo, le istanze di modifica ordinamentale, che vanno poi sottoposte all’approvazione dei Ministeri vigilanti”.

Il Tribunale ha indicato come organi preposti a valutare la normativa previdenziale l’Assemblea nazionale dell’Enpam, i Comitati consultivi e il Consiglio di amministrazione della Fondazione.

Con una sentenza separata ma connessa (7534/2023), il Tar del Lazio ha anche confermato la correttezza dell’operato della Fondazione Enpam, che aveva rifiutato di pubblicare sul proprio sito web la notizia della presentazione di un ricorso “class action”, dato che non ne aveva le caratteristiche.