“Nel 2017 il nostro Paese ha vissuto una fase positiva, dopo molto anni di “vacche magre”, evidenziando una ripresa dell’economia confortata da buoni dati sul fronte lavoro e pensioni. Non interessa qui cercare a chi attribuire i meriti; è il Paese, o una parte di esso, che si è risvegliata grazie all’aumento della domanda estera e interna e al turismo che, per via delle paure nello scegliere le mete classiche, ha visto un incremento della “destinazione Italia” sia da parte dei nostri connazionali sia internazionale” così il professore Alberto Brambilla presentando, mercoledì scorso, il V Rapporto su “Il Bilancio del Sistema Previdenziale Italiano”
Uno studio che prende in esame sia il sistema pubblico sia quello privato e che racconta di una luce che si intravede finalmente alla fine del tunnel. Dati alla mano. A fine 2016 il numero degli occupati è aumentato rispetto al 2015 di 294 mila unità passando da 22.464.753 a 22.757.838, il dato migliore dal 2009 e simile a quello del 2007; addirittura a ottobre il tasso di occupazione complessivo ha toccato il 58,1% con 23,058 milioni di occupati che eguaglia il record di tutti i tempi registrato nel 2008 con 23,090 milioni di occupati. L’occupazione femminile è passata dal 47,1% del 2007 al 49,1% del secondo trimestre del 2017, il dato migliore di sempre. Continua anche l’aumento degli occupati over 50 che passa dal 47% del 2008 al 59,5% nel terzo trimestre 2017.
“E’ vero, permane ancora una forte disoccupazione (11,1%) – afferma il Professor Barmbilla – ma una fetta consistente dipende da difetti italici quali adattabilità e specializzazione; si stima infatti una carenza di circa 65 mila specializzati richiesti dall’industria e qualche centinaio di migliaia dalle attività artigianali e di servizio, solo in parte colmate dagli immigrati. Anche il Pil reale migliora e supera quota 1,5%, fondamentale per tenere sotto controllo il rapporto spesa pensioni/PIL. Anche sul fronte delle pensioni i dati sono positivi: il numero dei pensionati si è ridotto di 114.869 unità toccando nel 2016 quota 16.064.508, il dato più basso dal 1997 (primo anno del nostro data base). Pertanto, il rapporto tra attivi e pensionati è arrivato a 1,417, non un dato eclatante, ma il migliore dal 1997. Con un rapporto di 1,5 attivi per pensionato non siamo sulla luna, ma cominciamo ad avere un sistema più sostenibile”.
E sul fronte welfare? Secondo lo studio, il nostro Paese “gode” di un welfare già molto sviluppato, ma con due cruciali punti di vulnerabilità: l’assoluta necessità di un monitoraggio della spesa assistenziale e un insufficiente livello di finanziamento imputabile all’elevata evasione fiscale e contributiva.
“La stima realizzata per il 2016 sulla base dei dati riferiti al 2015 rileva che occorrono all’incirca tutte le imposte dirette per finanziare la spesa per il welfare relativa all’anno 2016 – si legge nel rapporto – Una situazione poco sostenibile nel medio termine, tanto più se si tiene conto dei dati emersi dall’analisi delle dichiarazioni Irpef degli italiani, più vicini a quelli di un Paese in via di sviluppo che a quelli di un Paese del G7″.
«Il vero problema è semmai mettere sotto controllo la spesa assistenziale e le entrate fiscali – sostiene il responsabile del centro studi Itinerari previdenziali – con una coraggiosa riforma di sistema basata sul monitoraggio della prima con l’anagrafe generale dell’assistenza e introducendo, per arginare i fenomeni di evasione fiscale, il contrasto di “interessi”. Diversamente, si renderà sempre più fragile il sistema di protezione sociale e si continueranno a perdere risorse preziose da investire in sviluppo capace di aumentare produttività e generare PIL”.
In allegato le slide e i grafici inerenti le Casse di Previdenza
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