Crisi demografica, welfare e economia. Parla Confindustria

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Molti i temi affrontati dalla Confederazione durante l’audizione tenutasi presso la Commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale

Audizione nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’equilibrio e i risultati delle gestioni del settore previdenziale allargato, con particolare riguardo alla transizione demografica, all’evoluzione del mondo delle professioni e alle tendenze del welfare integrativo. l

“Per quanto riguarda la demografia – si legge nella memoria presentata –  l’Italia si trova attualmente nel pieno di un «inverno demografico» tale per cui i residenti nel nostro Paese sono ininterrottamente in calo da nove anni. Secondo i dati dell’Istat, se nel 2013 i residenti in Italia erano 60,3 milioni, nel 2023 siamo scesi sotto quota 59 milioni (un calo di 1,4 milioni di residenti). Le previsioni indicano una decrescita persino più accentuata nel futuro, a 58,1 milioni nel 2030, a 54,4 milioni nel 2050 fino a 45,8 milioni nel 2080”.

“Il quadro complessivo è fortemente squilibrato a causa di dinamiche demografiche deboli
sul versante del ricambio della popolazione, per cui ad un tasso di fecondità (espresso come numero medio di figli per donna) che continua a ridursi si associa un progressivo
invecchiamento della popolazione”.

“La crisi demografica del nostro Paese ha, già nell’immediato, effetti sulla sostenibilità del
sistema di welfare pubblico. Il progressivo aumento della speranza di vita e la diminuzione
della popolazione attiva sul mercato del lavoro, infatti, fanno lievitare l’indice di dipendenza
degli anziani, cioè il rapporto tra il numero di persone over-65 e la popolazione in età attiva
(ovvero i 15-64enni). Tale indice è già vicino al 38 per cento in Italia ma, secondo lo scenario mediano dell’Istat, mostrerà un aumento che non ha precedenti per rapidità ed intensità, raggiungendo il 50 per cento nel 2035 e il 60 per cento nel 2042”.

Ed infine “la distribuzione della spesa sociale italiana, già ora sbilanciata a favore delle
fasce più anziane della popolazione, l’invecchiamento della popolazione e l’assottigliamento
delle fasce di individui in età attiva esercitano una pressione crescente sul welfare state (in
particolare sui rami della previdenza e della sanità) e mettono in discussione la tenuta stessa del sistema”.

“Il secondo aspetto d- si legge nel documento – a tenere bene in mente è relativo alla transizione verso i paradigmi dell’economia digitale e dell’economia green. Questi fenomeni, che vediamo accadere con grande rapidità, stanno modificando la struttura economica e produttiva e rischiano di avere ripercussioni rilevanti dal punto di vista occupazionale e sociale in assenza di un efficace set di politiche per il lavoro, che vanno considerate quale parte integrante del sistema di protezione sociale.”

E denuncia “Sono ben noti l’enorme squilibrio che storicamente caratterizza le risorse destinate dallo Stato alle politiche passive rispetto alle politiche attive del lavoro e la bassa efficacia di queste ultime. Le linee di intervento devono, pertanto, consistere in un ribilanciamento degli investimenti in politiche passive e politiche attive, per rendere più dinamico il mercato del lavoro di fronte alle transizioni e passare dalla tutela del posto del lavoro alla tutela dell’occupabilità del lavoratore, con l’obiettivo ultimo di allargare e qualificare la base occupazionale”.

“Il terzo aspetto che incide sul sistema di welfare è la progressiva terziarizzazione
dell’economia. Come gran parte delle economie avanzate, anche l’economia italiana nel
corso degli ultimi decenni ha subito un processo di terziarizzazione, con una crescita
significativa del peso occupazionale del settore dei servizi a discapito, in particolare, del
settore manifatturiero. Questo fenomeno nel nostro Paese, tuttavia, ha un riflesso evidente anche sulla sostenibilità futura del welfare, in quanto il disegno del sistema di protezione sociale italiano risale ad un contesto economico in cui la manifattura rappresentava il settore principale dell’economia italiana e, non a caso, è su questo settore che è stata caricata la quota principale delle contribuzioni obbligatorie destinate al finanziamento del sistema di welfare”.

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