
Ce lo dice l’ultima ricerca targata Unioncamere. Per quanto riguarda i giovani questi “rappresentano una componente naturale di innovazione e rinnovamento del panorama socioeconomico e dunque imprenditoriale, grazie alla loro capacità di intercettare i cambiamenti, sviluppare nuove competenze e proporre modelli alternativi di business”. Ma…Il lavoro autonomo è davvero un’opportunità per un giovane, o diventa una necessità, in uno scenario privo di alternative e supporti concreti?
Secondo lo studio “Il problema è che i giovani hanno la percezione di avere a che fare con un ambiente tendenzialmente ostile. In effetti, quando si analizza la percentuale di persone della stessa fascia di età che vedono buone opportunità di avviare un’attività ma non procedono per paura del fallimento, l’Italia si colloca ai vertici del ranking. Anche rispetto alla percentuale di popolazione che percepisce buone opportunità imprenditoriali nel proprio territorio, l’Italia occupa la quarta peggior posizione in Europa, dopo Ungheria, Spagna e Slovacchia. Dunque, si osserva uno scarto tra lo spazio dell’immaginario (“Mi piacerebbe…”) e quello della possibilità (“Vedo delle opportunità reali…”). Sarebbe interessante capire la ragione di questo differenziale”.
Lo studio
Cominciamo col considerare la scelta tra lavoro autonomo e dipendente.
I dati confermano che il 48% dei giovani italiani esprime una preferenza per l’autonomia lavorativa rispetto al lavoro dipendente. Un valore più significativo rispetto al posizionamento dei coetanei francesi (33%) e tedeschi (38%), in linea con i caratteri della nostra tradizione che non vede di buon occhio l’inserimento in organizzazioni troppo strutturate.
I giovani italiani, dunque, mantengono vivo il desiderio di indipendenza, ma tuttavia resta il
dubbio: questa propensione è frutto di una scelta volontaria o costituisce una risposta adattativa a un mercato del lavoro ancora rigido negli schemi e poco accessibile? Il lavoro autonomo è davvero un’opportunità per un giovane, o diventa una necessità, in uno scenario privo di alternative e supporti concreti?
A questo proposito, il dato sulla propensione all’intrapresa indica che i 18-64enni italiani mostrano una maggiore inclinazione all’imprenditorialità e all’autoimprenditorialità rispetto ai coetanei francesi e tedeschi. Inoltre, alla domanda se l’avvio di un’impresa costituisca una scelta di carriera desiderabile nel proprio Paese, le risposte dei giovani italiani portano l’Italia nella parte alta della classifica europea, dietro solo a Lituania, Romania, Cipro, Serbia e Grecia.
Piu in generale, l’Italia continua a distinguersi per la creatività imprenditoriale: solo il 15,8% dei giovani dichiara di non avere idee imprenditoriali, un valore inferiore rispetto alla Germania (21%) e alla Francia (19,8%).
L’Italia si colloca, inoltre, al secondo posto in Europa, dopo la Grecia, anche per il numero di giovani imprenditori con dipendenti. Il dato conferma che la voglia di provarci non manca. Almeno dal punto di vista dell’immaginario, la propensione imprenditivita rimane viva.
Il problema è che i giovani hanno la percezione di avere a che fare con un ambiente
tendenzialmente ostile. In effetti, quando si analizza la percentuale di persone della stessa fascia di età che vedono buone opportunità di avviare un’attività ma non procedono per paura del fallimento, l’Italia si colloca ai vertici del ranking. Anche rispetto alla percentuale di popolazione che percepisce buone opportunità imprenditoriali nel proprio territorio, l’Italia occupa la quarta peggior posizione in Europa, dopo Ungheria, Spagna e Slovacchia.
Dunque, si osserva uno scarto tra lo spazio dell’immaginario (“Mi piacerebbe…”) e quello della possibilità (“Vedo delle opportunità reali…”). Sarebbe interessante capire la ragione di questo differenziale.
La difficoltà non sembra dipendere prima di tutto dal tenore del contesto economico da parte dei giovani. Solo l’11,5% dei giovani italiani, infatti, intravede un clima economico sfavorevole all’imprenditoria, mentre in Germania questa percentuale sale al 22,3% e in Francia al 14,8%.
Più rilevante appare la questione culturale: la figura dell’imprenditore fatica a essere riconosciuta socialmente, nonostante l’idea di iniziativa autonoma resti desiderabile. Alla domanda se gli imprenditori di successo godano di alto status nel proprio Paese, l’Italia si posiziona nella parte bassa della classifica, sebbene con un punteggio migliore rispetto a Francia e Spagna.
Tra i principali ostacoli che scoraggiano i giovani italiani (15-30 anni) dall’avviare un’attività
imprenditoriale vengono indicati la mancanza di risorse finanziarie (41,8% in Italia, rispetto al 32% in Francia e al 37% in Germania). Seguono la scarsa fiducia degli investitori nei giovani (31,8% contro il 26,3% in Francia e il 23,1% in Germania); la mancanza di competenze e conoscenze (30,6%); le difficoltà burocratiche e amministrative (29%).
L’apertura all’intrapresa degli italiani appare dunque gelata sul nascere da un contesto generale che non risulta propriamente favorevole a coltivare i semi dell’iniziativa imprenditoriale.
Si tratta di un quadro per nulla nuovo e già ben conosciuto agli addetti ai lavori, sul quale almeno in parte si è già lavorato come avvenuto, ad esempio, con le iniziative di sostegno alle start up giovanili, sebbene insufficienti a far partire – in sé – processi su larga scala.
Eppure, lo sforzo compiuto non sembra essere sufficiente a modificare la percezione di un habitat ancora poco propenso a dare spazio e risorse economiche, infrastrutturali e simboliche, e dunque a scommettere sulle nuove generazioni. Rispetto ad altri Paesi, in Italia continua a sussistere una diffidenza, quasi un pregiudizio nei confronti delle iniziative imprenditoriali giovanili. A dire che il Paese sembra poco propenso a rischiare e a credere che il nuovo abbia a che fare anche con le visioni diverse di cui ogni generazione è portatrice.
Emerge cosi l’immagine di un Paese attardato da incrostazioni che ne bloccano il dinamismo e che rischiano di disperdere il potenziale d’intrapresa dei giovani. Può essere utile interrogarsi: dove si annidano pregiudizi e stereotipi generazionali? E perché? Come facilitare l’incontro e il passaggio tra le generazioni?
Come è logico aspettarsi, questo quadro nazionale assume poi specifiche configurazioni territoriali: l’intrapresa giovanile (18-29 anni) registra la concentrazione più elevata nel Nord (in particolare, nell’area lombarda, in quella piemontese, in particolare nel Torinese e nel Cuneese, e nelle province di Trento e Bolzano,). A seguire l’asse laziale-campano, con alcuni dinamismi al Sud, in Sicilia, Calabria e Puglia.
I dati del Rapporto evidenziano, dunque, una contraddizione: da un lato, i giovani italiani
desiderano intraprendere un’attività autonoma, hanno idee e una visione sufficientemente
positiva all’intrapresa; dall’altro, questi stessi giovani sono frenati dalla paura del fallimento e dalla mancanza di condizioni favorevoli. Una situazione che fa pensare all’analogia del trampolino: si sarebbe pronti a saltare, ma si teme di non trovare l’acqua in piscina.
A questo quadro si aggiunge un’altra tendenza non positiva: la crescente emigrazione giovanile. Come già evidenziato nel secondo Rapporto Italia Generativa, sono numerosi i giovani italiani che scelgono di lasciare il Paese per cercare altrove migliori opportunità di crescita e riconoscimento professionale. Un’emorragia importante che andrebbe contrastata con politiche di rientro e da iniziative di sostegno a iniziative imprenditoriali in grado di mettere a frutto e trarre vantaggio dalle esperienze internazionali accumulate.
Non da ultimo, occorre considerare il possibile impatto di quel trasferimento di ricchezza
generazionale oggi atteso dalle coorti nate nel Dopoguerra che hanno attivamente partecipato alla ricostruzione del Paese e visto crescere in modo significativo livelli di vita, redditi e patrimoni. Che effetto farà nel nostro Paese questa eredità? Verrà messa a disposizione di nuova intrapresa, oppure, oltre ad accentuare le diseguaglianze interne, contribuirà a depotenziare la spinta imprenditiva a causa di un narcotizzante “effetto rendita”?
In definitiva, ciò che emerge è una chiara questione di ricambio generazionale anche per quanto riguarda la dimensione imprenditiva. Per incentivare e trovare fresche energie, appare necessario lavorare in tre direzioni:
● promuovere anche durante gli anni della formazione un nuovo immaginario sull’intrapresa
favorendo l’incontro e lo scambio con testimonial propositivi;
● prendersi cura di quel germoglio imprenditoriale che senza le necessarie condizioni di clima rischia di non bucare il terreno o di seccare sul nascere;
● guardare anche altrove, ad altri possibili interlocutori, in corrispondenza di quelle
trasformazioni storiche che riguardano le società evolute e che arrivano in ritardo a toccare la società italiana.