La Commissione lavoro del PE “boccia” la semplificazione normativa sulla sostenibilità

La Commissione lavoro e affari sociali del Parlamento europeo ha rilasciato una opinione sulla proposta della Commissione europea di semplificazione delle norme UE in materia di sostenibilità ambientale e sociale. Gli eurodeputati lodano la precedente impostazione che aveva portato l’Unione a costruire un sistema solido per la rendicontazione di sostenibilità e il dovere di diligenza aziendale, anche imponendo rigide norme di diligenza alle imprese sia all’interno dei suoi confini sia a livello globale. Le direttive 2006/43/CE, la 2013/34/UE, e più recentemente la (UE) 2022/2464 e (UE) 2024/1760 costituiscono, secondo la Commissione parlamentare, un quadro normativo che garantisce dati affidabili e trasparenti, fondamentali per investitori e ONG che vigilano su eventuali abusi, e consente alle imprese di migliorare i processi lungo tutta la catena del valore.

Al contrario, si legge nell’opinione, l’attuale proposta della Commissione europea rischia di indebolire questo prezioso equilibrio. “Se da un lato è condivisibile l’intento di semplificare gli obblighi di rendicontazione, soprattutto per le piccole e medie imprese (PMI), dall’altro la riforma proposta sembra andare verso una deregolamentazione eccessiva, che comprometterebbe gli obiettivi delle direttive precedenti. Smantellare elementi chiave della normativa potrebbe infatti generare incertezza per le imprese e limitare l’accesso alla giustizia per le vittime di danni ambientali o sociali, oltre a ridurre la disponibilità di dati di qualità indispensabili per valutare i rischi legati alla sostenibilità”.

Una delle critiche più forti riguarda l’esclusione di circa l’80% delle imprese attualmente soggette alla direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità, un passo che potrebbe penalizzare le aziende virtuose e minacciare i posti di lavoro nati proprio nel settore della sostenibilità. La riduzione degli obblighi potrebbe inoltre compromettere l’accesso delle imprese a finanziamenti sostenibili e la loro capacità di resilienza in un contesto economico sempre più attento ai criteri ESG (ambientali, sociali e di governance).

I parlamentari europei segnalano che esperti e autorità di vigilanza, come la BCE, sottolineano inoltre i rischi legati all’affidarsi esclusivamente a principi volontari per la rendicontazione delle PMI, che possono favorire pratiche di greenwashing e mancanza di verifiche rigorose. Invece, l’introduzione di principi di rendicontazione specifici per settore potrebbe aiutare le imprese a fornire informazioni più pertinenti, evitando sovraccarichi inutili.

Un altro punto critico è la limitazione delle informazioni che le aziende più grandi possono richiedere ai loro fornitori e subappaltatori. Questa restrizione indebolirebbe la capacità delle imprese di monitorare rischi e opportunità lungo l’intera catena del valore, un aspetto cruciale per la prevenzione di violazioni dei diritti umani e danni ambientali, che spesso si verificano “a valle” delle filiere produttive.

Infine, la proposta mette in discussione anche l’obbligo di attuare piani di transizione climatica, lasciando le imprese libere di adottarli senza un impegno concreto alla loro applicazione, un fattore che potrebbe generare confusione e indebolire gli sforzi verso la sostenibilità reale.

Nel complesso, mentre la semplificazione resta un obiettivo importante per non gravare eccessivamente sulle PMI, gli eurodeputati avvertono che il rischio è quello di creare un sistema meno trasparente, meno efficace e meno giusto, con conseguenze negative per la tutela dei diritti, la lotta ai cambiamenti climatici e la stabilità finanziaria europea.