La Commissione europea ha risposto di recente all’interrogazione a risposta scritta sulle condizioni di lavoro dei medici in Europa proposta da diversi parlamentari dei gruppi politici Socialisti e Democratici, The Left, Popolari europei e ECR.
I parlamentari hanno posto due quesiti alla Commissione, partendo dalle evidenze di una relazione pubblicata dalla DG EMPL della Commissione europea nel 2016 che definisce come usuranti le “Attività lavorative che comportano l’esposizione del lavoratore per un periodo di tempo prolungato a uno o più fattori che determinano situazioni professionali suscettibili di avere effetti duraturi e irreversibili sulla sua salute; tali fattori sono correlati a limitazioni fisiche, rischi psicosociali, un ambiente fisico aggressivo, l’organizzazione del lavoro e i ritmi di lavoro, compreso il lavoro a turni” e dal Libro Bianco della Federazione europea dei medici salariati (2024) , secondo cui le condizioni di lavoro dei medici soddisfano tutti i citati criteri, in particolare nelle specializzazioni mediche più impegnative, e sono aggravate dalla carenza cronica di personale medico, aumentando le esigenze fisiche e psicologiche della professione medica.
In particolare, i parlamentari europei hanno chiesto alla Commissione se si intende promuovere un’iniziativa dell’Unione per definire criteri comuni per una retribuzione equa, orari di lavoro sicuri e il riconoscimento dei rischi fisici e psicologici del lavoro medico usurante o pericoloso; e se la Commissione vuole avviare discussioni con gli Stati membri e le parti sociali al fine di armonizzare l’attuazione delle norme legislative nazionali in materia.
Rispondendo per conto della Commissione, la vice-presidente esecutiva, Roxana Mînzatu, ha rammentato la normativa di riferimento sull’orario di lavoro settimanale (direttiva 2003/88/CE1 che limita l’orario di lavoro settimanale e fissa un periodo minimo di riposo giornaliero e settimanale e di ferie annuali retribuite) che si applica a tutti i lavoratori nell’UE, compresi i medici con un rapporto di lavoro dipendente (vale a dire che non sono lavoratori autonomi). Inoltre, Mînzatu ha citato la normativa in materia di sicurezza e salute sul lavoro (direttiva 89/391/CEE2) che stabilisce obblighi per il datore di lavoro, compresa la valutazione di tutti i rischi ai quali i lavoratori sono o possono essere esposti, compresi i rischi fisici e psicosociali, e le conseguenti misure di prevenzione e protezione. La direttiva si applica a tutti i settori, sia pubblici che privati, compreso quello dei medici.
La vice-presidente ha evidenziato che la Commissione non intende definire criteri comuni per il riconoscimento dei rischi affrontati dai lavoratori, compresi i medici, come lavoro pericoloso. Inoltre, ha ricordato come l’articolo 153, paragrafo 5, del TFUE (trattato sul funzionamento dell’UE) escluda le retribuzioni dai settori in cui l’UE può adottare atti legislativi, impedendo al livello unionale di fissare o regolamentare direttamente la retribuzione, anche per le professioni mediche. Sempre l’articolo 153, paragrafo 2, del TFUE esclude qualsiasi armonizzazione delle
disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri da parte dell’Unione, ragione per cui non è possibile per la Commissione armonizzare le leggi nazionali in materia di condizioni di lavoro dei medici.
La vice-presidente Mînzatu, infine, ha rassicurato i parlamentari in merito al sostegno offerto dalla Commissione agli Stati membri per risolvere le problematiche attinenti al personale sanitario. A tal fine, in collaborazione con OMS Europa (organizzazione mondiale della sanità) sarà condotta una indagine sui fattori che influenzano la salute mentale e il benessere sul luogo di lavoro (progetto finanziato da “EU4Health3”), in collaborazione con le associazioni rappresentative della categoria e le parti sociali, che fornirà elementi utili per le politiche nazionali.
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