Parlamento europeo e Consiglio hanno raggiunto un accordo provvisorio sulla semplificazione delle norme relative al reporting di sostenibilità e alla due diligence aziendale. L’intesa dell’8 dicembre, frutto di settimane di negoziati, mira a ridurre in modo significativo gli oneri amministrativi per le imprese, in particolare per le realtà medio-piccole, e a rafforzare la competitività del mercato europeo.
«Oggi manteniamo la promessa di alleggerire le regole e rafforzare la competitività dell’UE», ha dichiarato Marie Bjerre, ministra danese per gli Affari europei, sottolineando l’importanza di creare un ambiente più favorevole alla crescita e all’innovazione. Sulla stessa linea Morten Bødskov, ministro danese dell’Industria: «Per anni le aziende europee sono state sommerse dalla burocrazia. Con regole più semplici, potranno concentrarsi sul loro core business e contribuire alla transizione verde senza ostacoli inutili».
Reporting di sostenibilità: innalzate le soglie, meno imprese coinvolte
Una parte centrale dell’accordo riguarda la direttiva sul reporting di sostenibilità (Corporate social reporting directive, CSRD). La Commissione aveva proposto di innalzare la soglia dimensionale a 1.000 dipendenti ed escludere le PMI quotate. I co-legislatori sono andati oltre, introducendo anche un limite di fatturato superiore a 450 milioni di euro, riducendo ulteriormente il numero di imprese obbligate alla rendicontazione.
Saranno inoltre esentate le holding finanziarie, mentre per le aziende già tenute a rendicontare dal 2024 è prevista una fase transitoria: se escono dal nuovo perimetro, non dovranno presentare report nel 2025 e 2026. L’accordo prevede infine una clausola di revisione che permetterà in futuro di valutare un possibile ampliamento del campo di applicazione.
Due diligence: obblighi solo per le imprese più grandi
Sulla direttiva relativa alla due diligence, il compromesso introduce nuove soglie molto elevate: 5.000 dipendenti e 1,5 miliardi di euro di fatturato. Secondo i negoziatori, sono queste le aziende meglio attrezzate per esercitare un’influenza positiva sulle rispettive catene del valore e assorbire i costi derivanti dai nuovi processi di controllo.
Altro cambiamento rilevante riguarda la gestione degli impatti negativi: l’accordo elimina l’obbligo di esaminare in modo sistematico l’intera catena di attività e consente alle imprese di concentrarsi sulle aree in cui i rischi risultano più probabili o più gravi. Le aziende potranno inoltre basarsi su informazioni “ragionevolmente disponibili”, riducendo così l’effetto domino delle richieste di dati sui partner più piccoli.
Eliminato, inoltre, l’obbligo di predisporre un piano di transizione climatica, misura ritenuta troppo onerosa. Il compromesso elimina il regime europeo armonizzato di responsabilità civile, demandando agli Stati membri l’eventuale introduzione di norme più stringenti, mentre resta una clausola che consentirà in futuro di rivalutare un approccio unificato.
Sul fronte delle sanzioni, si stabilisce un limite massimo pari al 3% del fatturato mondiale della società, con linee guida operative che saranno fornite dalla Commissione.
Slitta, infine, di un anno il termine per il recepimento della direttiva Corporate social due diligence directive (CSDDD), ora fissato al 26 luglio 2028. Le imprese dovranno conformarsi alle nuove disposizioni entro luglio 2029.
L’accordo arriva a seguito delle pressioni dei leader europei, che nell’autunno 2024 avevano invocato una revisione profonda del quadro normativo, in particolare per ridurre gli oneri sulle PMI. Le analisi di Enrico Letta e Mario Draghi sulla competitività europea hanno accelerato il dibattito, spingendo la Commissione a presentare a febbraio 2025 due pacchetti “Omnibus” dedicati alla semplificazione.
Nel marzo 2025 il Consiglio europeo ha chiesto di finalizzare rapidamente il lavoro, sostenendo anche il meccanismo “Stop-the-clock” approvato nell’aprile 2025, che ha già rinviato l’entrata in vigore di alcune parti delle due direttive (CSRD e CSDDD).
Dopo il voto formale in Parlamento e la confermato del Consiglio, la riforma potrà diventare legge e dare avvio al nuovo corso delle politiche europee sulla sostenibilità, improntato alla semplificazione e alla riduzione degli oneri burocratici.







