Ocse. Bene l’Italia ma questioni ancora aperte

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“Le recenti riforme del sistema educativo italiano (“Buona Scuola”), del mercato del lavoro (“Jobs Ac “) e della politica industriale (“Industria 4.0”) hanno chiare sinergie e potrebbero ridurre squilibri preoccupanti tra la domanda e l’offerta di competenze nel mercato del lavoro italiano,” a sostenerlo il nuovo rapporto dell’OCSE “Getting Skills Right: Italy”.

Per Stefano Scarpetta, direttore dell’occupazione, del lavoro e degli affari sociali presso l’OCSE, “L’Italia ha fatto molto negli ultimi anni e le riforme stanno iniziando a dare i loro frutti. Vi sono ancora una serie di questioni che, se risolte, potrebbero portare all’attuazione effettiva di importanti riforme come un programma per alternare scuola e lavoro, Industria 4.0 e politiche attive del mercato del lavoro. ”

I risultati dei nuovi indicatori dell’OCSE per l’occupazione, pubblicati insieme al rapporto, forniscono un’istantanea dettagliata delle competenze più richieste sul mercato del lavoro italiano e le differenze tra le varie regioni. I dati mostrano una forte domanda di competenze relative alla conoscenza di nuove tecnologie come l’informatica e l’elettronica, la programmazione di software e l’uso di tecnologie digitali.

Ma il direttore Scarpetta punta ancora il dito: “L’Italia ha ancora del lavoro da fare per sviluppare le competenze informatiche necessarie per affrontare le sfide del mercato del lavoro, ora e in futuro. I nostri dati mostrano chiaramente una forte domanda di competenze digitali in tutto il paese che, se non soddisfatte, potrebbero avere conseguenze negative per la crescita e la competitività dell’Italia. Professionisti con una buona conoscenza dell’IT, nuove tecnologie digitali e tecnologie mediche e ingegneristiche sono molto apprezzati nel mercato del lavoro italiano, con impiegabilità e salari ben al di sopra della media”.

Ciononostante, la domanda per queste abilità rimane troppo debole ed è limitata ai bisogni delle grandi aziende italiane. E sempre secondo il rapporto targato Ocse, il resto dell’economia italiana è concentrato in settori tradizionali, a bassa produttività, dove c’è poca richiesta di competenze di alto livello, con circa l’85% delle imprese italiane che sono piccole e prevalentemente a conduzione familiare. L’Italia è quindi in uno stato di equilibrio, con l’offerta e la domanda di competenze tendenti al livellamento verso il basso, in un circolo vizioso che ha ripercussioni negative sulla produttività, la crescita e l’uso delle nuove tecnologie.

Il rapporto sottolinea, inoltre, che “molti italiani sono specializzati in aree con poche opportunità di lavoro”. Circa il 35% dei lavoratori italiani ha un lavoro non correlato alla propria formazione e il 21% lavora in posti per i quali è sovra qualificato. Una situazione associata a una perdita media salariale di circa il 17% rispetto a coloro che si specializzano in un’area con chiare opportunità di lavoro le cui competenze sono richieste dalle imprese.

 Cosa serve quindi? Lo studio non ha dubbi.

“L’Italia ha bisogno di legami più forti tra il sistema educativo e il mondo del lavoro a tutti i livelli. La creazione di college tecnici superiori (“ITS”), basati su solidi legami con l’economia locale, è una gradita innovazione nella formazione professionale italiana e finora ha generato risultati brillanti, contribuendo a sviluppare competenze rapidamente assorbite nel mercato del lavoro italiano . I nuovi diplomi professionali hanno anche il potenziale per colmare il deficit di competenze tecniche in Italia, ma per farlo devono creare forti legami tra università e imprese fin dall’inizio, con l’obiettivo di sviluppare competenze professionali e tecniche di alto livello, piuttosto che principalmente teoriche abilità come è avvenuto in passato”.

Il programma per alternare scuola e lavoro è un passo nella giusta direzione, ma rimangono molte sfide. Da un lato, le imprese devono assumere un ruolo maggiore nella progettazione del contenuto dell’apprendimento basato sul lavoro e, d’altro canto, i manager educativi necessitano di risorse finanziarie e didattiche adeguate per stringere legami con le imprese in tutta Italia, anche nelle aree più povere dove c’è meno possibilità di entrare in affari.

L’Italia deve rafforzare le pratiche lavorative ad alte prestazioni (HPWP) come il tutoraggio, la rotazione delle mansioni o responsabilità flessibili. Queste pratiche sono già abbastanza diffuse in altri paesi, ma sono ancora troppo rare in Italia. Il livello di competenze dei manager italiani, specialmente nelle piccole imprese, non è sempre adeguato e deve essere migliorato attraverso programmi di formazione mirati. Ciò consentirebbe alle piccole imprese di cogliere l’importanza delle nuove tecnologie e di trarre vantaggio dal loro potenziale produttivo.

“Le opportunità per i lavoratori di aggiornare le proprie competenze devono essere migliorate attraverso l’uso più giudizioso dei fondi per la formazione continua, collegando il loro uso alle reali esigenze e alle sfide del mercato del lavoro italiano. Infatti, ci sono ancora molti lavoratori italiani con scarse competenze informatiche, scarsa conoscenza delle lingue straniere e carenza di una vasta gamma di competenze tecniche di base. Spesso, tuttavia, una parte considerevole dei fondi per la formazione continua sono stati indirizzati verso lo sviluppo di competenze in aree che sono semplicemente incidentali alle sfide poste dal rapido cambiamento tecnologico, dalla globalizzazione e dall’automazione”.

Le politiche attive del mercato del lavoro sono una sfida cruciale per l’Italia. Alla luce delle attuali disposizioni istituzionali, l’Italia deve adottare meccanismi per rafforzare la cooperazione tra lo Stato centrale e le regioni, identificando parametri chiari, condivisi e obiettivi per garantire che i disoccupati ricevano la stessa qualità di servizi in tutto il paese.