Jobs act, passa alla Camera

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Con il via libera di Montecitorio la legge delega sul lavoro torna in terza lettura al Senato anche se l’accordo raggiunto tra Pd e Ncd ha di fatto blindato il testo e non dovrebbero esserci ulteriori modifiche. Il primo decreto delegato quello su contratto a tutele crescenti e sulla semplificazione dei licenziamenti, dovrebbe essere emanato già la prossima settimana per entrare in vigore il 1° gennaio così come annunciato dal Governo.

Primo punto, origine di discussioni e prese di posizioni contrastanti, a modifica all’art.18.  Agganciate all’introduzione del contratto a tutele crescenti, le nuove regole escludono per i licenziamenti economici la possibilità della reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegra ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato (prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento). Saranno i decreti delegati a dover recepire questi principi anche  per arginare la discrezionalità dei giudici.

Per le nuove assunzioni ci sarà un contratto unico a tempo indeterminato a tutele crescenti in base all’anzianità di servizio. Mentre si punta a una riduzione delle altre forme contrattuali, a partire dai co.co.pro. Un emendamento, riformulato dal Governo, chiarisce che le collaborazioni coordinate e continuative sono una forma contrattuale che resterà in vigore «fino a esaurimento».

Inoltre nel Jobs Act si parla di «universalizzazione» del sussidio di disoccupazione dell’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego), con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa per estendere questa tutela a una platea di almeno 300mila collaboratori che oggi non ce l’hanno, compresi quelli con carriere molto discontinue. Verranno unificate Aspi e mini-Aspi, rapportando la durata del trattamento «alla pregressa storia contributiva del lavoratore». Ci sarà anche un incremento della durata massima del sussidio per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti.

Il provvedimento, come d’altronde annunciato dalle dichiarazioni che si erano susseguite nei giorni scorsi, ha registrato una spaccatura all’interno del Partito democratico. Il gruppo dei 29 – tra cui  Gianni Cuperlo, Rosy Bindi, Alfredo D’Attorre, Stefano Fassina e Francesco Boccia – ha firmato un documento per spiegare le ragioni del dissenso. Subito dopo il voto i deputati critici sul Jobs Act hanno ‘battezzato’ ufficialmente la nascita della corrente dissidente in una conferenza stampa a Montecitorio. “Siamo accomunati da senso di responsabilità – ha spiegato Gianni Cuperlo – ma abbiamo messo al centro il merito. Paura di andare contro lo Statuto del Pd? Confidiamo nelle nuove regole sul licenziamento disciplinare…”. E Fassina ha aggiunto: “Le parole di Renzi non aiutano la pace sociale, ma alimentano tensioni sovversive e corporative”. Mentre D’Attorre ha sottolineato che “dentro il Pd c’è un’area di critica molto vasta e il voto in Emilia lo conferma”.

Hanno votato no rimanendo in Aula anche Francesco Saverio Romano di Forza Italia, Claudio Fava (ex Sel, ora Misto), Mauro Pili (ex Pdl, ora Misto), e Mario Sberna (Per l’Italia).