Gli investimenti, l’etica e la controversa scelta del male minore

618

di Alberto Oliveti

Un medico che si lasciasse guidare semplicemente dal sentire comune sarebbe un cattivo medico. Al contrario, se a farlo fosse il responsabile delle scelte di investimento di un ente previdenziale che gestisce un patrimonio di 20 miliardi di euro, probabilmente riceverebbe apprezzamenti per la dimensione etica del suo approccio.
Al medico si chiede di esercitare la professione secondo scienza e coscienza, scegliendo ciò che è meglio per il paziente in base a competenze ed evidenze. L’investitore oggi invece è invitato a basarsi su modelli (ideologici?) che prevedono settori a cui ci può avvicinare e altri da cui è meglio stare lontani.

L’esperienza ci insegna a considerare le sfumature, mentre in materia di investimenti spesso si ragiona in termini di bianco o nero. Anche solo pronunciare parole come organismi geneticamente modificati (Ogm), industria bellica e energia nucleare è considerato sconveniente.

In materia di Ogm tuttavia varrebbe la pena di riflettere sulle posizioni degli scienziati. Alcuni giorni fa la senatrice a vita Elena Cattaneo ha ricordato in un articolo che “ora possiamo fare interventi molto mirati sul Dna, e rendere una pianta resistente ai parassiti riducendo irrorazioni di antiparassitari ed erbicidi”. Questo mi porta a ritenere che sarebbe legittimo investire nello sviluppo di biotecnologie, attualmente esistenti solo sulla carta, per ottenere un frumento in grado di crescere consumando meno acqua, meno suolo e meno (costosi) agenti chimici.
Allo stesso modo – dopo oltre un quindicennio di conflitti pressoché ininterrotti in Africa, Medio Oriente, Asia Centrale e Asia del Sud, e con il rischio di nuove guerre innescate dalle crescenti pressioni demografiche in regioni del pianeta dalle risorse limitate – potrebbe essere lungimirante sostenere la ricerca e lo sviluppo di “armi di limitazione di massa” non letali.
Infine, il tema del nucleare. Oggi chi partecipa al finanziamento per arrivare alla fusione? Si tratta di creare nuovi superconduttori con caratteristiche tali da permettere il contenimento di livelli elevatissimi di pressione e temperatura per consentire il processo. Può essere ignorata la consapevolezza che la fusione nucleare, utilizzando il deuterio coniugato con il trizio, porta all’emissione, come unico scarto di lavorazione dell’elio, cioè lo stesso gas che usiamo per far volare i palloncini?

In teoria, questi tre esempi di investimento sono in contrasto con i princìpi della stragrande maggioranza dei modelli Environmental, social and governance (Esg) che vengono comunemente utilizzati. Nessuno mette in dubbio la loro efficacia nella selezione e valutazione. Tuttavia il momento di cambiamento attuale, e la stessa necessità per il Paese di trovare nuovi settori trainanti per lo sviluppo, fanno pensare che questi modelli possano essere migliorati.

Un inizio è quello di eliminare la dicotomia alla base della scelta, il bianco per tutto ciò che è “bene” e il nero per quello che è “male”. Abbiamo una responsabilità sociale nell’affrontare temi cruciali per la vita di milioni di persone come fame, guerre e sicurezza energetica.

Sarebbe superficiale pensare che le attuali tecnologie nel settore delle rinnovabili non abbiano un costo ambientale. Si potrebbe sostenere, non senza qualche ragione, che la criticità verrebbe semplicemente spostata più avanti nel tempo, quando si sarà costretti a interrogarsi su come eliminare i metalli pesanti che compongono le cellule fotovoltaiche.
Allo stesso modo orientare in senso meno distruttivo lo sviluppo di nuove armi, o mettere a disposizione sementi in grado di dare risposte alle esigenze alimentari di domani, aprono la porta a uno sforzo per una nuova definizione di etica nelle scelte di investimento.

Le regole che si sono imposte oggi nell’asset allocation per soggetti con una rilevante capacità finanziaria e una altrettanto rilevante presenza sociale rispondono all’esigenza di garantire la reputazione degli investitori. La conseguenza è che si tende a tenersi alla larga da alcuni ambiti.
Eppure le strade verso il miglioramento sono due: quella che porta verso settori considerati virtuosi e l’altra, egualmente efficace, che ottiene un risultato eticamente positivo riducendo le componenti negative. Si può cioè perseguire il bene anche limitando ciò che è considerato male.

Una strada che merita di essere percorsa, anche se farlo significa avviare un dibattito su una nuova etica delle scelte di investimento.

Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 27 agosto 2018