Rapporto Istat 2020. L’Italia ai tempi del Covid 19. La relazione del Presidente

777

E’ un rapporto, quello presentato oggi, 3 luglio, alla Camera dei Deputati, che analizza l’emergenza pandemia sotto molti aspetti, dalle risposte che il paese è riuscito a dare alle criticità che ha affrontato e che dovrà affrontare.

“Da febbraio in poi – ha sottolineato il Presidente dell’Istat, Gian Carlo Blagliardo (in allegato la sua relazione – la rapida evoluzione dell’emergenza sanitaria e il suo impatto sui comportamenti sociali e sull’attività economica, hanno avuto una ricaduta immediata in termini di domanda e di offerta delle informazioni statistiche necessarie alla comprensione e al monitoraggio del dispiegarsi della crisi, nonché alla definizione di misure e reazioni adeguate, tanto dei soggetti pubblici  quanto di cittadini e operatori economici”.

“Passando a una lettura dei dati relativi alle caratteristiche e alle dinamiche di quel Sistema Sanitario Nazionale (SSN) che la pandemia ha investito con compiti e responsabilità talvolta ai limiti della sua stessa tenuta, la sintesi da cui conviene prendere le mosse è che malgrado la debole dinamica delle risorse economiche ad esso destinate registrata nell’ultimo decennio, il nostro SSN ha saputo reagire con ammirevoli impegno e competenza, anche se talvolta in affanno e con difficoltà, al richiamo dell’emergenza. Gli
ospedali sono stati sottoposti a una pressione senza precedenti e l’effetto si è riverberato, in termini statistici, sulla diminuzione di ricoveri per malattie ischemiche del cuore e per le malattie cerebrovascolari, anche se per queste patologie, una volta ospedalizzate, è in ogni caso rimasta immutata la capacità di trattamento tempestivo e appropriato. In parallelo, si è ridotta drasticamente l’offerta di interventi di chirurgia elettiva non urgente, mentre
sembra non sia variata l’offerta di interventi non differibili in ambito oncologico e ortopedico. D’altra parte, va chiaramente messo in luce come l’emergenza sanitaria sia
intervenuta a valle di un lungo periodo in cui il nostro SSN è stato interessato da un forte ridimensionamento sul piano delle risorse. In particolare, dal 2010 al 2018 in media annua la spesa sanitaria pubblica è aumentata solo dello 0,2 per cento e il numero di posti letto è diminuito dell’1,8 per cento. Si è ridotta anche la spesa per investimenti delle Aziende Sanitarie, scesi da 2,4 miliardi del 2013 a poco più di 1,4 nel 2018”.

“Il quadro economico internazionale si presenta, alla metà del 2020, particolarmente complesso e incerto. In concomitanza con i primi segnali di rafforzamento del ciclo, l’emergenza sanitaria ha generato uno shock globale di eccezionale intensità che sta producendo, per l’appunto, una recessione globale. L’Italia, come altri paesi, ne risente in maniera diretta, con una caduta dell’attività di ampiezza inedita, rispetto alla quale si intravedono i primi segnali di reazione. Il volume del commercio mondiale di beni, in forte rallentamento nel 2019, ha inizialmente registrato un brusco calo nel primo trimestre (-2,5 per cento congiunturale) e un vero e proprio crollo in aprile (-12 per cento)”.

“Nel primo trimestre 2020, il blocco parziale delle attività in marzo ha determinato effetti rilevanti, con una contrazione congiunturale del Pil del 5,3 per cento e cadute ancora più marcate dei consumi privati (-6,6 per cento) e degli investimenti (-8,1 per cento). Le recentissime stime dei conti istituzionali trimestrali indicano che le misure di sostegno ai redditi, introdotte dall’inizio dell’emergenza, hanno limitato la caduta del reddito disponibile delle famiglie: nel primo trimestre, a fronte di un calo del Pil nominale del 5,2 per cento, il reddito è sceso dell’1,6 per cento. Mentre parallelamente alla brusca contrazione della spesa per consumi finali, dovuta al lockdown, il tasso di risparmio è aumentato marcatamente”.

“Nel corso del 2019 la lunga fase di crescita seppure lenta dell’occupazione si è esaurita e, dopo il ristagno dell’inizio del 2020, gli occupati hanno registrato, a marzo e più marcatamente ad aprile, un forte calo: si tratta di 454 mila unità nei due mesi, sulla base delle stime più aggiornate. A causa delle limitazioni nella possibilità di azioni di ricerca di lavoro, l’effetto della crisi ha determinato un aumento dell’inattività e, proprio come conseguenza della maggior rinuncia alla ricerca di un lavoro, anche un calo del tasso di disoccupazione (rivisto al 6,6 per cento per aprile)”.

“Sul versante delle reazioni difensive, è preoccupante che un’impresa su otto esprima l’intenzione di differire o annullare i piani di investimento e che la frequenza aumenti con la dimensione, con un effetto potenzialmente depressivo sul ciclo di accumulazione, più marcato nella manifattura e nei trasporti. Un altro segnale sfavorevole è che quasi il 12 per cento delle imprese si orienti verso una riduzione sostanziale dei dipendenti, sebbene la tendenza sia soprattutto diffusa tra le unità di piccole dimensioni”.

“In questo Rapporto l’Istat ha affrontato in maniera sintetica alcune questioni di lunga
data che l’Istituto ritiene prioritarie, soprattutto in una fase in cui il Paese deve individuare i problemi strutturali che meritano energie, azioni e investimenti, sia pubblici che privati.
La prima questione è rappresentata dalle disuguaglianze. Nel corso degli ultimi decenni le classi sociali medio-alte si sono accresciute ma lo hanno fatto con un progressivo rallentamento che è iniziato dalla metà degli anni ‘9 del secolo scorso ed è proseguito con la recessione del 2008. Da un lato, c’è stato un incremento degli imprenditori e dell’alta dirigenza delle imprese e della pubblica amministrazione; una forte espansione iniziale, seguita da una sostanziale stabilizzazione, delle libere professioni, dei medi dirigenti e
anche della classe impiegatizia; ma anche una crescita, accentuata e continua attraverso tutte le generazioni, dei lavoratori a bassa qualificazione del terziario. Dall’altro, si è avuta una forte contrazione dei lavoratori autonomi e delle classi operaie tradizionali, assecondando una tendenza alla polarizzazione che è stata più accentuata per le donne”.

“Le disuguaglianze sono aumentate anche nel mercato del lavoro. Sotto il
profilo delle performance occupazionali, gli uomini, i giovani di 25-34 anni,
il Mezzogiorno e i meno istruiti non hanno ancora recuperato i livelli e i tassi
di occupazione del 2008. Inoltre, mentre la crisi partita allora ha interessato
soprattutto i settori ad alta presenza maschile, oggi le criticità maggiori
stanno investendo i servizi, e in particolare il turismo e la ristorazione; ambiti
più connotati da una presenza femminile, spesso precaria e irregolare. Si
aggiunga poi che la crescita del part time involontario, così come della segregazione
di genere delle professioni, contribuiscono a disegnare un quadro
diseguale che penalizza maggiormente giovani, donne e Mezzogiorno.
Nella difficile situazione economica generata dalle misure di contrasto alla
pandemia, la presenza di una consistente porzione di occupazione non regolare
rappresenta un ulteriore fattore di fragilità per molte famiglie. Si stima
che siano circa 2,1 milioni le famiglie dove è presente almeno un occupato
irregolare – oltre 6 milioni di individui – e la metà di esse include esclusivamente
occupati non regolari”.

“Una seconda categoria di questioni che sollevano problematicità e meritano
attenzione riguarda l’istruzione e la conoscenza. L’Italia ha affrontato lo
shock della pandemia in una situazione di svantaggio consistente nel confronto
con gli altri paesi avanzati, sia in termini di livelli di scolarizzazione che
di digital divide. L’emergenza ha avuto l’effetto positivo di dimostrare come,
col capitale umano disponibile, sia già possibile avviare una trasformazione
che, ricorrendo rapidamente e su larga scala alle tecnologie disponibili, produca
un profondo cambiamento funzionale del lavoro e della produzione”.