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Rapporto Istat 2020. L’intervento del presidente della Camera, Roberto Fico

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Buongiorno a tutti e a tutte.

Saluto e ringrazio il Presidente dell’ISTAT Gian Carlo Blangiardo.

Saluto il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il Segretario di Presidenza del Senato, Francesco Maria Giro, e il Presidente della Commissione “Affari Costituzionali” della Camera Giuseppe Brescia e il Presidente della Commissione “Bilancio” del Senato Daniele Pesco.

Il rapporto di quest’anno analizza in profondità l’impatto dell’emergenza Covid 19 sul tessuto sociale ed economico dell’Italia. Pone in evidenza i punti di criticità ma anche di forza che il Paese ha fatto registrare in questo momento difficile. E si focalizza altresì sulle conseguenze della pandemia su questioni cruciali per l’agenda nazionale ed internazionale di medio e lungo termine, quali l’ambiente, l’istruzione e gli andamenti demografici.

Ci sono alcuni aspetti che emergono dalla relazione che – a mio avviso – si impongono all’attenzione del dibattito non solo in Parlamento, ma anche nell’intero Paese.

Mi riferisco innanzitutto all’analisi degli effetti della pandemia che si sono innestati su una situazione sociale caratterizzata da forti disuguaglianze, più ampie di quelle esistenti nel 2008-2009.

In sostanza, la crisi determinata dall’emergenza rischia di acuire drammaticamente divari sociali ed economici già giunti a livelli inaccettabili. E ciò vale – come il rapporto rileva – soprattutto per il lavoro.

Tutti i principali indicatori mostrano – sin dallo scoppio della crisi del 2008 – un aumento delle diseguaglianze occupazionali di natura territoriale, generazionale e per titolo di studio che rischiano di essere aggravati nei prossimi mesi. A detrimento di giovani, donne e, in generale, dei lavoratori del Mezzogiorno che già scontano retribuzioni inferiori alla media, elevati rischi di perdita del lavoro, basse retribuzioni.

Molto preoccupanti sono inoltre i dati del Rapporto relativi all’impatto della crisi sanitaria sul tessuto produttivo italiano. Anche in questo caso ad essere colpite sono soprattutto le componenti che già erano più vulnerabili, a cominciare dalle micro e piccole imprese e da quelle stabilite al Sud, che più faticano a definire una risposta strategica e integrata alla crisi causata dall’emergenza sanitaria. Peraltro anche un terzo delle imprese a più elevata performance economica presenta segnali di grave carenza di liquidità.

Un’ulteriore serie di dati del Rapporto che si impongono alla nostra attenzione è poi quella relativa all’impatto che l’emergenza ha prodotto sul sistema sanitario e sul diritto alla salute, mettendone in luce i punti di forza e criticità.

ISTAT sottolinea che le politiche di austerità adottate nel corso degli anni hanno reso il sistema sanitario impreparato ad affrontare uno shock di domanda come quello imposto dalla pandemia.

Il nostro sistema è riuscito a reagire grazie allo straordinario impegno, al sacrificio, alla professionalità degli operatori e limitando l’offerta ordinaria di servizi sanitari, vale a dire rinviando gli interventi programmati non urgenti.

Dobbiamo fare tesoro delle lezioni della crisi e invertire la tendenza seguita sinora: occorre che alla sanità pubblica siano destinate risorse adeguate per ammodernare le strutture ed assumere il personale qualificato necessario per assicurare che il diritto alla salute continui ad essere fruito in maniera universale. Soprattutto dalle persone con maggiori fragilità.

La sanità pubblica al primo posto per la ripresa del Paese.

A fronte di questo quadro sicuramente allarmante, il Rapporto ci offre anche importanti indicazioni sulle potenzialità che il nostro Paese ha per la ripresa. Nella fase più acuta dell’emergenza, l’Italia ha manifestato una forte coesione e un elevato senso civico attraverso il rispetto delle regole relative al distanziamento sociale. L’immagine è stata quella di una comunità che con senso di responsabilità ha affrontato una situazione difficile e delicata. È con questo spirito che dobbiamo continuare lavorare per superare la fase critica e per procedere verso una “ricostruzione” che non lasci nessuno indietro.

Come attuarla? Sono convinto che questi mesi abbiano rafforzato la consapevolezza nella popolazione che una ripresa stabile passa attraverso un mutamento del modello di sviluppo e di società, che dobbiamo interpretare in chiave sostenibile. Molto resta da fare, sul piano delle politiche pubbliche e dei comportamenti individuali, ma certamente il sostegno tra i cittadini verso scelte lungimiranti nella direzione della decarbonizzazione, dell’economia circolare e di una mobilità sostenibile costituisce un passo decisivo.

Altro aspetto significativo legato a quanto vissuto dagli italiani in questi mesi è la crescente consapevolezza dell’importanza delle nuove tecnologie e dell’incremento delle competenze digitali, ambito in cui il nostro Paese registra certamente un forte ritardo. Ciò vale ad esempio per il ricorso al lavoro agile che prima dell’epidemia interessava un segmento limitatissimo di attività e di lavoratori.

L’emergenza sanitaria ha imposto un passaggio improvviso e radicale al lavoro agile in molti settori, dimostrando come esso possa essere uno strumento cruciale per ottimizzare tempi lavorativi, ridurre costi ed effetti ambientali, aiutare la conciliazione dei tempi di vita.

Mi avvio alla conclusione ribadendo il mio apprezzamento per il Rapporto 2020 dell’ISTAT che consegna alle Istituzioni indicazioni molto importanti per disegnare una strategia coerente di rilancio dopo la crisi pandemica.

Ciò a partire dalla definizione dei programmi che l’Unione europea ci chiede di presentare al fine di fruire delle risorse finanziarie molto ingenti che si stanno stanziando a favore dei Paesi membri.

Queste risorse preziose, a mio avviso, dovranno essere utilizzate anche e soprattutto in due direzioni complementari, volte al superamento delle debolezze strutturali del nostro Paese.

La prima è certamente l’eliminazione di quelle diseguaglianze che, come ISTAT ci indica, sono state amplificate dalla pandemia: diseguaglianze – territoriali, generazionali, di istruzione, di genere – che caratterizzano il tessuto imprenditoriale, il mercato del lavoro, l’uso delle tecnologie dell’informazione, l’accesso alle cure e da cui discendono molti dei problemi del nostro Paese.

La seconda consiste nell’investimento massiccio in una transizione del nostro modello di sviluppo in senso sostenibile, utilizzando tutto il potenziale offerto dall’economia circolare, dall’innovazione, dall’incremento delle competenze in tutta la popolazione.

E uno dei punti fondamentali da affrontare senza dubbio è la scuola, la scuola pubblica a cui vanno destinati progetti, risorse e grandi investimenti. Far ripartire la scuola significa far ripartire tutto il Paese.

Sono certo che il Parlamento giocherà un ruolo centrale nella definizione di questa strategie di intervento.

Vi ringrazio.