Cresce l’occupazione e i redditi ma..troppe tasse e niente profitti

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L’Istat ha presentato la nuova analisi sul mercato del lavoro e sui redditi, tra buone e cattive notizie. Se, infatti, sul fronte occupazione e reddito continua la ripresa, nel 2023, l’inflazione ha mangiato una buona parte della ricchezza prodotta: per questo, nonostante il reddito disponibile delle famiglie sia aumentato del 4,7% (un incremento di 58,7 miliardi di euro) il potere d’acquisto si è ridotto dello 0,5%.

E anche la capacità di “mettere da parte qualche soldo” ne ha risentito. La spesa per consumi finali cresce del 6,5% (ovvero 74,6 miliardi di euro) e la propensione al risparmio delle famiglie cala al 6,3%, dal 7,8% del 2022. È un record assoluto, il minimo dal 1995, periodo di riferimento dei conti.

Di pari passo il tasso di investimento delle famiglie che si porta al 9% (dal 9,2% del 2022). Il tasso di profitto delle imprese scende al 44,8% (dal 45,4% del 2022), nonostante la crescita del valore aggiunto del 6,2%. Il loro tasso di investimento si riduce al 20,9% (dal 22,3% dell’anno precedente) a seguito della diminuzione degli investimenti fissi lordi (-0,6%).

I Dati

Redditi e occupazione

Rispetto all’anno pre-pandemia (2019), nel 2022 si osserva un aumento del tasso di occupazione della popolazione di 15-64 anni dal 59% al 60,1% (+1,1 punti percentuali), accompagnato da una riduzione del tasso di disoccupazione (dal 10,1% al 8,2%, -1,9 p.p.) e da una sostanziale stabilità del tasso di inattività (dal 34,5% al 34,3%, -0,2 p.p.).

  • I quinti di reddito equivalente più poveri, caratterizzati strutturalmente da tassi di occupazione più bassi, hanno mostrato aumenti più elevati tra il 2019 e il 2022 (+2 p.p. nel primo quinto e +1,7 p.p. nel secondo) associati a una contrazione relativamente più netta del tasso di disoccupazione (-5 p.p. nel primo e -2,9 p.p. nel secondo).
  • Il Mezzogiorno, pur caratterizzato da tassi di occupazione più bassi, pari al 46,7% nel 2022, registra, rispetto al 2019, un aumento del tasso relativamente più elevato (+1,9 p.p.). L’aumento riguarda in particolare il quinto più povero
    (+2 p.p.). In controtendenza la variazione del tasso di occupazione nei due quinti più ricchi del Nord-ovest (-0,9 p.p. e -0,4 p.p.) e nel penultimo quinto del Nord-est (-1,3 p.p.).
  • I giovani 25-34enni per i quali il tasso di occupazione nel 2022 raggiunge il 66,1%, registrano l’aumento più elevato (+3,4 p.p.) rispetto al periodo pre-pandemia, più marcato nel quinto di reddito inferiore (+3,9 p.p.).
  • Il divario dei tassi di occupazione tra i più e i meno istruiti cresce all’aumentare del reddito: nel quinto più povero il tasso di occupazione è il 54,7% tra chi ha un titolo universitario (+23,4 p.p. rispetto ai meno istruiti) mentre nel quinto più ricco il tasso è l’89,1% (+31,7 p.p.). Il recupero dei livelli occupazionali rispetto all’anno pre-pandemia cresce all’aumentare del livello di istruzione e raggiunge +1,6 p.p. per chi ha un’istruzione universitaria e l’aumento è relativamente maggiore nel secondo quinto (+ 3,5 p.p.).

Investimenti e pressione fiscale

  • il tasso di investimento delle famiglie si porta al 9% (dal 9,2% del 2022). Il tasso di profitto delle imprese scende al 44,8% (dal 45,4% del 2022), nonostante la crescita del valore aggiunto del 6,2%. Il loro tasso di investimento si riduce al 20,9% (dal 22,3% dell’anno precedente) a seguito della diminuzione degli investimenti fissi lordi (-0,6%).
  • La pressione fiscale è stata pari al 50,3%, in aumento di 1,2 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
  • Il reddito lordo disponibile e la spesa per consumi finali delle famiglie consumatrici sono diminuiti rispettivamente dello 0,1% e dell’1,0% rispetto al trimestre precedente.
  • La propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è aumentata di 0,9 punti percentuali rispetto al trimestre precedente, attestandosi al 7,0%.
  • Il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito dello 0,5% rispetto al trimestre precedente, a fronte di un aumento dello 0,4% del deflatore implicito dei consumi delle famiglie.
  • La quota di profitto delle società non finanziarie è stimata al 44,4%, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto al trimestre precedente.