Nonostante la maternità comporti una fase di assestamento nella vita professionale, le Dottoresse Commercialiste mostrano una notevole capacità di tenuta e continuità lavorativa. Dall’analisi emerge che circa il 70% delle iscritte alla Cassa riesce a mantenere la propria attività e la capacità reddituale anche dopo la maternità, segno di una professione solida e capace di conciliare vita familiare e lavoro, anche grazie alla natura stessa delle libere professioni che garantiscono maggiore flessibilità rispetto al lavoro dipendente.
E’ uno dei paragrafi del focus elaborato dal centro Studi della Cassa di previdenza dei Dottori Commercialisti “Donne e maternità in Italia”, dove nell’abstract si legge “L’ultimo Rapporto sulla maternità di Save di Children indica che l’Italia ha fatto registrare per il 2024 il nuovo record negativo delle nascite con soli 370.000 nuovi nati (-2,6% rispetto all’anno precedente), con un’età media delle madri al parto che ha raggiunto i 32,6 anni (in crescita rispetto ai 31 anni del 2008). Come certificato anche dalla Banca Mondiale il confronto tra Paesi evidenzia criticità significative: lo dimostra il tasso di fecondità complessivo che negli ultimi anni non solo ha subito un’ulteriore contrazione (1,2 figli per donna), ma colloca l’Italia in una zona “grigia” molto più rischiosa rispetto ad altri Paesi, anche della stessa Unione Europea”.
Cosa vuol dire maternità in Italia?
Vuol dire innanzitutto gender gap retributivo, per il quale l’Italia si trova alla 95esima posizione, con un rischio di lavoro a basso reddito per più di una donna su quattro (26,6%).
Maternità vuol dire anche child penalty rispetto ai colleghi uomini. Per le donne avere figli si associa a una minore occupazione lavorativa: il 20% delle donne, infatti, smette di lavorare dopo essere diventata madre, spesso a causa dell’assenza di servizi per la prima infanzia e della mancanza di condivisione dei compiti di cura all’interno delle famiglie, che rendono inconciliabile la dimensione lavorativa e quella familiare.
Le donne commercialiste
Nonostante il contesto italiano, il dato che emerge dalle statistiche della Cassa appare positivo: secondo le più recenti analisi, una donna su cinque lascia il lavoro dopo la maternità e, tra le lavoratrici dipendenti, la quota di chi rientra stabilmente nel mercato del lavoro nei tre anni successivi alla nascita del figlio non supera il 60%. Inoltre, è frequente il ricorso al part-time (oltre il 36% tra le madri occupate), segnale di una riduzione del tempo o dell’intensità lavorativa.
In questo quadro, il fatto che solo meno di un terzo delle Dottoresse Commercialiste registri criticità nel recupero del reddito o nella continuità dell’attività, rappresenta un indicatore di resilienza e autonomia professionale anche nelle fasi più fragili del percorso di carriera.
La Cassa a sostegno della conciliazione vita lavoro
Le diseguaglianze di genere anche nel mondo delle professioni si caratterizza per lo sbilanciamento dei carichi di cura a sfavore delle donne e l’insufficienza o l’assenza completa di servizi per la prima infanzia che condizionano la vita e il benessere delle madri.
In questo contesto, la Cassa, ha rafforzato negli ultimi anni le misure a supporto della genitorialità attraverso misure a sostegno della conciliazione vita lavoro e della condivisione delle responsabilità di cura e assistenza in ambito familiare, come il contributo paternità.
Gli investimenti nel welfare strategico sono cresciuti in modo significativo nel tempo, con l’obiettivo di ridurre in maniera strutturale la child penalty all’interno della professione.
Tali misure rappresentano un percorso virtuoso intrapreso dall’Ente che si inserisce in un quadro più ampio in cui deve essere necessariamente rafforzato l’operato delle politiche pubbliche a tutela della fase di cura della prima infanzia, contribuendo, in una visione comune, a sostenere la crescita del Paese e della categoria.







