Rapporto Censis 2015. Gli italiani ce la fanno da soli. Arriva la fiducia ma….

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Fuori dalla crisi o no, più che l’Italiana sono gli italiani ad avercela fatta, almeno in parte. E’ quanto emerge dal rapporto Censis 2015 che sottolinea come i “singoli” abbaino risposto alla mancanza di lavoro.  non dentro un “progetto generale di sviluppo” che non esiste più da tempo, ma all’interno mettendo  a reddito, ad esempio,  il patrimonio immobiliare (560.000 bed&breakfast con un rispettabile fatturato di 6 miliardi di euro), inventando nuove forme di imprenditoria , coniugando gastronomia e turismo, design e artigianato, moda e piattaforme digitali.

E se grazie al  Jobs Act, il mercato del lavoro «ha visto rimbalzare l’occupazione di 204.000 unità». per il  Censis, «siamo ancora lontani dal recuperare la situazione pre-crisi, dato che nel terzo trimestre dell’anno, rispetto allo stesso periodo del 2008, mancano all’appello 551.000 posti di lavoro». La disoccupazione si riduce all’11,9%, «una cifra molto lontana però dal 6,7% del 2008». Per quanto riguarda i giovani (15-24 anni) si registra un crollo dell’occupazione «con un recupero ora di appena 9.000 unità rispetto al primo trimestre. Il loro tasso di disoccupazione è praticamente raddoppiato in sei anni, con un picco del 42,7% nel 2014 e poi un calo di 1,4 punti tra il primo e il terzo trimestre di quest’anno e quelli  che non studiano e non lavorano (i Neet) sono 2,2 milioni, la sottoccupazione riguarda 783.000 addetti, il part time involontario 2,7 milioni di occupati e la Cassa integrazione ha superato nel 2014 la soglia del miliardo di ore concesse, corrispondenti a circa 250.000 occupati equivalenti». L’occupazione femminile, invece, «ha guadagnato 64.000 posti di lavoro in sei anni e si registra ancora un incremento di 35.000 occupate tra il primo e il terzo trimestre del 2015». E se nel 2008 i lavoratori over 55 «erano poco meno di 2,5 milioni, nel 2014 erano diventati 3,5 milioni e continuano a crescere, con un aumento di 91.000 unità nei primi sei mesi dell’anno». Si consolida la presenza nel mercato del lavoro della componente straniera, «che ha superato i 2,3 milioni di occupati, con un incremento di 604.000 unità tra il 2008 e il 2014 e di 77.000 nella prima metà dell’anno”.

“Siamo una società a bassa propulsione – ha sottolineato il direttore del Censis Massimiliano Valerii – lo testimoniano anche i dati economici, a cominciare dall’inflazione. Eppure emerge una piattaforma di ripartenza e ricostruzione del nostro apparato produttivo, attraverso driver d’innovazione. Chi sono i vincenti? Coloro che in questa fase di ristrettezza piuttosto che trincerarsi dietro una posizione difensiva hanno colto le opportunità della globalizzazione, a cominciare da quelle offerte dall’esportazione”. E per  il presidente, Giuseppe De Rita, rimane solo “la medietà del consumatore sobrio, della lunga stagione del primato delle ideologie  rimane l’empirismo continuato della società che evolve”.

Per l’Istituto di ricerca comunque si spende di nuovosull’acquisto di immobili mentre si mettono da parte quelli rischiosi  come quelli in azioni e obbligazioni. Tra gennaio e ottobre di quest’anno le richieste di mutui sono cresciute del 94,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente  e le compravendite immobiliari sono aumentate del 6,6% nel secondo trimestre di quest’anno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tornano anche gli acquisti di beni durevoli, in forte declino tra il 2007 e il 2013. In particolare le intenzioni di comprare nuove auto quest’anno risultano più che raddoppiate rispetto all’anno precedente, tanto che se si concretizzassero nel 2016 le immatricolazioni tornerebbero ai valori del 2008, un milione e mezzo. Quasi tre milioni di famiglie dichiarano che nel 2016 compreranno un elettrodomestico nuovo, molti intendono acquistare mobili e ristrutturare la propria abitazione. E’ tornato l’ottimismo: il 39,8% dichiara di aver fiducia nel futuro contro il 22,4% che ancora non vede segnali positivi e il 37,8% ancora incerto.

Cattive notizie invece arrivano sul fronte welfare.  La spesa sanitaria nell’ultimo anno si è attestata a 110,3 miliardi contro i 112,8 del 2010. Il risultato è il “fai-da-te” per chi può permetterselo: la spesa sanitaria privata delle famiglie è passata dai 29,6 miliardi di euro del 2007 ai 32,7 del 2014, raggiungendo il 22,8% del totale. Chi non ce la fa arranca: 7,7 milioni si sono indebitati o hanno chiesto un aiuto economico per far fronte a spese sanitarie private. E chi proprio non riesce neanche a indebitarsi rinuncia: nel 66,7% delle famiglie a basso reddito almeno un componente l’anno scorso ha dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie, o ha dovuto rinviarle.