Pil, Europa e lavoro, il Cdm licenzia il Def 2016

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Lo definiscono “lavoro agile”, la modalità flessibile  di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato finalizzata a incrementarne la produttività, agevolando al contempo la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Si tratta, in particolare, di una prestazione di lavoro subordinato che può essere eseguita in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. E’ una delle misure contenute nel Documento di economia e finanza targato Governo Renzi. Una bozza sulla quale discutere e che fa discutere. A Cominciare da quella norma, appena firmata dal Ministro Poletti, contenuta appunto nel Def che riguarda i lavoratori del settore privato, assunti a tempo indeterminato e orario pieno, che abbiano versato 20 anni di contributi (requisito minimo per la pensione di vecchiaia) e che maturano il requisito anagrafico entro il 31 dicembre 2018. Come spiega una nota del dicastero, costoro potranno concordare col datore di lavoro il passaggio al part-time, con una riduzione dell’orario tra il 40 ed il 60%, ricevendo ogni mese in busta paga, in aggiunta alla retribuzione per il part-time, una somma esentasse corrispondente ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro sulla retribuzione per l’orario non lavorato. Inoltre, per il periodo di riduzione della prestazione lavorativa, lo Stato riconosce al lavoratore la contribuzione figurativa corrispondente alla prestazione non effettuata, in modo da salvaguardare l’intero importo della pensione quando scatterà l’età per ritirarsi definitivamente dal lavoro. Il decreto diventerà operativo dopo la relativa registrazione da parte della Corte dei Conti.

E se il part time agevolato ha portato a casa il via libera dai sindacati, nonostante la Uil abbia posto un problema di genere, il Def nel suo complesso non convince tutti. Per il Centro studi di Unimpresa nei prossimi quattro anni le uscite dalle casse dello Stato cresceranno sempre, con un incremento complessivo di oltre 22 miliardi di euro. La spesa pubblica passerà dagli 826,2 miliardi del 2015 ai quasi 849 del 2019″. E poi c’è il walzer di numeri sul Pil.  Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha annunciato in conferenza stampa che la previsione del Pil per il 2016 è stata portata all’1,2%, dal +1,6% stimato nell’aggiornamento del Def 2015 del settembre scorso. Per gli anni successivi si indica ora un +1,4% per il 2017 (dall’1,6%) e un +1,5% per il 2018.

Numeri che preoccupano anche se  Padoan ha rivendicato: “La crescita c’è, la trainano i consumi delle famiglie e gli investimenti mostrano un’accelerazione”. Una serie di elementi che gli fanno rivendicare “l’effetto positivo delle misure del governo”. Di fatto, il pareggio di bilancio in termini strutturali, che doveva essere conseguito a partire dal 2015, non sarà raggiunto neanche nel 2019 (-0,2%). E se le precedenti previsioni contenevano quanto meno rassicurazioni sul rispetto della regola del debito in un’ottica ‘forward looking‘, il Def 2016 dice chiaramente che il rapporto debito/Pil sarà superiore di alcuni decimali al valore richiesto.

Almeno sul fronte Europa sembra che il Governo abbia trovato la “quadra”:  indebitamento al 2,3% del Prodotto, ovvero a metà tra il 2,2% indicato in autunno e il 2,4% che si raggiungerebbe occupando tutto lo spazio legato alla  “clausola di flessibilità” per i migranti (0,2 punti di Pil, circa 3 miliardi). Un risultato che si raggiunge grazie a un aggiustamento amministrativo: non servono manovre lacrime e sangue, bastano i risparmi sulla spesa per interessi e l’extragettito legato al rientro dei capitali (voluntary disclosure) per limare un po’ di indebitamento. “Non faremo manovre correttive, termine che abbiamo rottamato”, ha assicurato il premier Matteo Renzi in conferenza stampa. Una parola il nostro Presidente del Consiglio usa da tempo.

Intanto arrivano le sottolineature, sugli aumenti di Iva e accise previsti dalle clausole di salvaguardia, dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Secondo i tecnici, il Governo è stato un po’ troppo ottimista e per questo “l’eventuale emergere di sorprese negative” sul fronte nazionale ed internazionale in termini di prezzo del petrolio, deflazione e cambio dell’euro potrebbe mettere “a rischio la dinamica del Pil nominale e, con essa, il percorso di abbassamento del rapporto debito/Pil”.

Quanto alle privatizzazioni «l’obiettivo fissato è dello 0,5% di Pil di introiti». «Stiamo esaminando varie opzioni che ci permetteranno di raggiungere quell’obiettivo» ha sottolineato Padoan, al termine del Consiglio dei ministri.

Un ottimismo non condiviso dal Fondo monetario che ha rivisto al ribasso, nell’ultimo World Economic Outlook presentato a Washington,  le sue previsioni sulla crescita economica globale, non risparmiando il Belpaese. Ed infatti l’Fmi stima che “La crescita economica dell’Italia è “più debole del previsto” e per quest’anno il PIL crescerà dell’1% per, poi, espandersi leggermente dell’1,1% l’anno prossimo.

Quanto al deficit  salirà quest’anno al 2,7% dal 2,6% del 2015, e poi scenderà fino all’1,6% nel 2017. Nel DEF, il deficit è stimato al 2,3% nel 2016 e all’1,8% nel 2017.