Educazione, l’Ocse punta il dito contro l’Italia. Pochi soldi e pochi aiuti

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Il confronto tra 35 Paesi più industrializzati della terra ha messo ko il nostro Paese. Education at a glance 2016 lo studio targato Ocse (in allegato), infatti,  sottolinea le fragilità del sistema d’istruzione dell’Italia puntando il dito anche sulle politiche messe in atto fino ad ora.  “Un’istruzione di qualità ha bisogno di un finanziamento sostenibile” ha sottolineato l’Ocse ed è proprio sulle risorse che l’Italia, negli ultimi anni, ha fatto enormi passi indietro. E vediamo i dati.

“La spesa pubblica per l’istruzione in Italia è diminuita del 14% tra il 2008 e il 2013. Una diminuzione che riflette non solo una riduzione della spesa pubblica complessiva in termini reali, ma anche un cambiamento nella distribuzione della spesa pubblica tra le diverse priorità”, spiegano i ricercatori che sottolineano inoltre come “la spesa per la scuola e l’università sia pari al 4% del Pil nel 2013, contro la media Ocse del 5,2”.

Bassa  anche la spesa pubblica universitaria per studente, pari al 71% della media Ocse che, nella sua relazione, non risparmia il nostro Paese denunciando come “In Italia, il livello relativamente basso della spesa pubblica per l’istruzione non è riconducibile al basso livello della spesa pubblica in generale, bensì al fatto che all’istruzione sia attribuita una quota del bilancio pubblico relativamente esigua”. Insomma la spesa pubblica è stata indirizzata verso altri comparti e non verso l’istruzione.

In Italia, poi,  circa l’80% degli studenti iscritti all’università  non riceve alcun aiuto finanziario o sostegno per le tasse d’iscrizione sotto forma di borse di studio o prestiti. Soltanto uno studente su cinque usufruisce di una borsa di studio, nonostante le tasse d’iscrizione ai corsi di laurea di primo livello nelle istituzioni pubbliche si collochino al nono livello più alto tra i Paesi con dati disponibili . E la percentuale di studenti che utilizzano i prestiti bancari garantiti dal settore pubblico, sebbene stia segnando un rapido aumento, è ancora inferiore all’1%.

Non va meglio sul fronte “corpo docente”. Troppo anziano e malpagato. Dal 2010 al 2014, gli stipendi degli insegnanti sono diminuiti in termini reali del 7 per cento. Inoltre, la variazione della paga del docente italiano tra l’assunzione e la pensione varia meno che negli altri paesi, dove in alcuni casi raddoppia. Sei/sette prof su dieci sono ultracinquantenni , 58% nella scuola primaria, 59% nelle Medie e 69% nelle Superiori, mentre otto su dieci sono di sesso femminile. Meno male che il Governo Renzi ci ha pensato, almeno è quanto sostiene l’Ocse che scrive” le assunzioni del 2015/2016 dell’attuale governo sono misure significative e potrebbero potenzialmente cambiare la distribuzione generale dell’età in Italia sia nell’istruzione primaria che in quella secondaria”.

E veniamo alla nota dolente ossia la collocazione lavorativa dopo il percorso di studi. La quota di giovani di età compresa fra i 25 e i 34 anni in possesso di un titolo universitario che riescono a trovare un impiego è in Italia di oltre venti punti inferiore alla media dei paesi Ocse: il 62% contro l’83%. E se non bastasse,  è assolutamente alto il numeri di giovani (20/24enni) Neet (giovani che non studiano e non lavorano): un terzo del totale.  “Il fatto che in Italia circa l’80% degli studenti iscritti ai corsi di laurea di primo e secondo livello – spiegano dall’Ocse – non riceva alcun aiuto finanziario o sostegno per le tasse d’iscrizione sotto forma di borse di studio o prestiti indica che i meccanismi finanziari per ottenere tale sostegno costituiscono un ulteriore ostacolo all’accesso all’istruzione terziaria”. Per correre ai ripari bisognerebbe “attrarre gli studenti verso l’istruzione terziaria” aumentando “le opzioni di studio a tempo parziale, offrendo maggiori possibilità per gli studenti che desiderano conciliare gli studi con l’attività  lavorativa e le esigenze di famiglia”.