L’indagine. “La tempesta perfetta”, sintetizza così il CIRCap il rapporto tra l’Italia e l’Europa.

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Crolla il sostegno all’Europa nel nostro Paese, ma gli italiani – come gli altri europei – chiedono più sicurezza proprio all’Europa, e, esattamente come gli spagnoli, gli italiani chiedono più Europa sull’immigrazione. Per quanto riguarda la Brexit, il pentimento è minimo da parte di tutti, operatori economici esclusi.

Sono queste alcune delle opinioni che emergono dal rapporto dal titolo “La tempesta perfetta. Cittadini europei di fronte a sicurezza, immigrazione e crisi economica”  realizzato dal Centro interdipartimentale di ricerca sul cambiamento politico dell’Università di Siena e presentato, nei giorni scorsi, a Roma, insieme all’Istituto Affari Internazionali, alla presenza, tra gli altri, di Pier Ferdinando Casini e Stefano Fassina.

Secondo l’indagine, rivolta all’opinione pubblica e alle élite economiche di 10 Stati membri rappresentativi delle diverse aree dell’Unione, oltre che sui membri del Parlamento italiano e membri italiani del Parlamento europeo, è sempre più forte lo scetticismo verso le istituzioni europee, e sempre maggiore la preoccupazione verso le grandi crisi socio economiche che il Continente sta attraversando. E l’Italia, storicamente il Paese più europeista, non fa eccezione, anzi: negli ultimi quindici anni, la percentuale di italiani che dichiara di avere una immagine favorevole dell’Unione europea si è dimezzata, passando dal 67% nel 2000 al 32% nel 2016. Ma gli italiani continuano in parte a mantenere un sentimento identitario se il 62% risponde di sentirsi “legato” all’Europa e se sono schierati per i due terzi in favore di un rafforzamento dell’integrazione europea.

La ricerca puntualizza che “è in materia di sicurezza che si manifesta il maggior orientamento europeista. Paradossalmente proprio nel settore dove meno sviluppati sono gli strumenti europei di intervento. Dunque, là dove l’Unione Europea ha strumenti di intervento più significativi (anche se insufficienti rispetto alla portata delle crisi), l’opinione pubblica è apparsa recettiva ai messaggi anti-europei, forse anche perché i partiti che tradizionalmente hanno governato l’Europa sono stati assai carenti nel rappresentare il disagio delle popolazioni e, ancor più, nell’offrire una leadership di policy adeguata. Dove invece l’Europa è (quasi) totalmente assente (la sicurezza) – continuano i ricercatori – il demos europeo vorrebbe più unità. Partire da questo paradosso per ricostruire una immagine – ed una sostanza – delle politiche europee più rispondente alle domande dei cittadini è la sfida che le leadership europee devono affrontare nei prossimi mesi”.


Infine, tra i dati emergenti, quello sulla Brexit. Con il crollo del valore della sterlina all’indomani della decisione referendaria, pochi si attenderebbero che sia presso i cittadini dei dieci Paesi europei sia presso le loro élite economiche, il consenso alla scelta operata dal popolo britannico sia cresciuto in Europa dopo il 23 giugno: dal 30% al 36% fra i primi, dal 31% al 33% tra le seconde. Al contrario, e forse più prevedibilmente, è presso il mondo imprenditoriale britannico che il consenso alla decisione di optare per la Brexit accusa una brusca frenata nel periodo post-referendum, diminuendo di 7 punti percentuali dal 49% al 42%. Il risvolto inatteso di questo dato risiede senza dubbio nell’elevato sostegno iniziale all’uscita dall’UE tra le élite economiche intervistate in questa indagine, che pure ne sarebbero tra i maggiori beneficiari e che spesso sono state descritte come una delle sezioni più “europeiste” della società britannica (per ragioni squisitamente utilitaristiche).

EUENGAGE (www.euengage.eu) è un progetto di ricerca finanziato dal Programma Horizon2020 e coordinato dall’Università di Siena che si propone l’obiettivo di indagare le tensioni – che la presente congiuntura di crisi multiformi ha reso più vigorose e più evidenti – tra la governance sovranazionale di alcuni ambiti di policy nell’ambito dell’Unione Europea e le mobilitazioni popolari che, all’interno dei singoli Stati membri, ne mettono in dubbio il contenuto e la legittimità.

In allegato il report