Anedda “Casse non sono il salvadanaio dei governi”

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“Il nostro è un Paese che non cresce da dieci anni, per il quale – citando Paul Valery, –  “il futuro non è più quello di una volta”. È un Paese che, economicamente, ha bisogno di uno shock, come quello che si impone all’infartato. Dobbiamo solo decidere quale defibrillatore usare”, così il Presidente della Cassa dei dottori commercialisti, Walter Anedda, che dal palco di Previdenza in tour svoltosi a Caserta denuncia ” “I governi hanno sempre visto gli Enti previdenziali dei professionisti come un gran bel salvadanaio, cui attingere nei momenti di crisi”.

E ricorda “durante l’esecutivo di Matteo Renzi la nostra Cassa fu tra le prime a dire no alla richiesta di risorse  per il fondo Atlante 2 per il salvataggio del sistema bancario, adesso mi spaventa chi pensa di decidere cosa siano gli investimenti in economia reale, perché riteniamo di poter investire in quelli che sono gli elementi strutturali del Paese, ovvero sia le infrastrutture in quanto tali, sia nel mondo delle professioni che le Casse rappresentano”.

Per il Presidente Anedda “I dati ultimi esposti dalla Banca d’Italia sono oggettivi: il valore dei titoli italiani è sceso del 9%, la ricchezza delle famiglie italiane si è ridotta di 85 miliardi, gli investitori esteri hanno ridotto la quota dei titoli di stato al 24%. D’altronde è di pochi giorni fa la notizia che rispetto alle attese dell’ultima asta (di collocare circa 10 miliardi di titoli italiani), la richiesta del mercato si è fermata a poco più di 2 miliardi, registrando il secondo peggior risultato di sempre, secondo gli analisti. Aggiungiamo che l’ISTAT, nell’ultima nota del 21 novembre, evidenziava un rallentamento della crescita del PIL rispetto all’anno precedente e una attesa per il 2019 (+1,3%), inferiore a quella stimata dal Governo”.

“Oggi l’attenzione mediatica  – continua Anedda – è spostata totalmente sul braccio di ferro tra Italia ed Europa, come se gli investitori istituzionali facessero dipendere le loro decisioni solo e unicamente dall’esito dei negoziati e dalla possibilità o meno che possa essere avviata dall’Unione Europea, la procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese. Ci si dimentica, forse, che le scelte di investire nella nostra economia sono dipendenti anche da altre variabili di non meno importanza: le difficoltà burocratiche, l’incertezza dei tempi di realizzazione di un’opera, l’inefficienza dei procedimenti giudiziari, l’incostanza della legislazione fiscale, la provvisorietà dei provvedimenti amministrativi, etc. Fattori questi che limitano le iniziative nazionali quanto, a maggior ragione, quelle finanziate da investitori stranieri, meno disponibili a farsi carico del “rischio Italia” ovvero assumendolo per rendimenti ben superiori a quelli ordinariamente sostenibili.

“In tale contesto, il ruolo che gli investitori istituzionali domestici possono svolgere, anche come attrattore di coinvestimenti stranieri può essere centrale – conclude il Presidente Cnpadc – Da qui la necessità che si apra un tavolo di confronto con il mondo della previdenza privata che, come emerge dall’ultimo rapporto AdEPP, nel giro di cinque anni  ha      registrato una crescita patrimoniale dei propri asset di circa 20 miliardi di euro (da  65,6 miliardi di  euro del 2013 ai circa 85,3 miliardi  di euro           di fine 2017) ma, soprattutto, ha quasi triplicato gli investimenti in fondi mobiliari (passati da 8,3 miliardi di euro  del 2013 ai circa 21,6 di fine 2017) e raddoppiato la componente azionaria (da 4,1 miliardi di euro a circa 8,1 miliardi di euro).Pensare di far ripartire l’economia senza coinvolgere progettualmente quelli che oggi sono tra i principali operatori finanziari sarebbe anacronistico, prima ancora che inefficiente”.