INPGI. Vendita immobili. In meno di due anni + 230milioni

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Il processo di dismissione del patrimonio immobiliare del Fondo “Giovanni Amendola”, a quasi due anni dall’avvio, fa registrare risultati soddisfacenti, sostanzialmente in linea con le aspettative che ne hanno ispirato la strategia e il modello attuativo.

In particolare, dal momento dell’effettiva partenza del piano di dismissione – avvenuta nei primi mesi del 2017 – sono state raccolte proposte di acquisto per oltre 236 milioni di euro, di cui 125 milioni per acquisti da parte degli inquilini e 111 milioni per acquisti di terzi.

Le compravendite già rogitate alla data del 25 ottobre 2018 corrispondono ad un valore di circa 210 milioni di euro di introito, con una media mensile che si è attestata, quindi, su 28 atti rogitati (quasi uno al giorno, tenendo conto anche dei festivi) per un valore di 11,2 milioni di euro al mese.

Risultati, quindi, estremamente confortanti, tenuto conto che – come è noto – la ratio dell’iniziativa risiedeva e risiede tutt’ora nell’esigenza di trasformare la composizione del patrimonio dell’Istituto – tradizionalmente molto sbilanciato verso l’asset immobiliare – per riequilibrare il rapporto con la componente mobiliare e per migliorare il processo di ottimizzazione della redditività attraverso l’adozione di soluzioni in grado di generare flussi di liquidità finanziaria adeguati a fronteggiare le esigenze connesse con l’assolvimento delle funzioni istituzionali di previdenza e assistenza in favore degli iscritti.

Alla stregua quindi di tale indirizzo strategico, l’Istituto ha avvertito l’esigenza di coniugare i profili di opportuna sensibilità verso le istanze degli inquilini delle unità inserite nel piano di dismissione con la necessità di realizzare risultati economici coerenti con i valori di mercato degli immobili posti in vendita, proprio in quanto i relativi proventi sono strutturalmente funzionali a garantire e tutelare gli interessi della più vasta platea di tutti gli iscritti all’ente.

La media complessiva di giornalisti presenti tra l’inquilinato era infatti inferiore al 50%. Tradotto in numeri, significa aver coinvolto circa 1.000 giornalisti (pari all’1,7% di tutti gli iscritti all’Istituto).

In tal senso, le ampie tutele negoziate con le OO.SS. degli inquilini hanno permesso comunque di salvaguardare gli interessi di circa il 95% di coloro che non hanno acquistato l’immobile, consentendo loro di rinnovare per ulteriori 8 anni i contratti scaduti. Tale situazione ha ovviamente inciso sull’andamento delle vendite di quelle unità sul libero mercato, restringendo – in una qualche misura – la platea dei potenziali acquirenti.

Per quanto attiene, infine, ai prezzi di vendita praticati, si evidenzia che le stime del valore delle unità immobiliari sono state effettuate prendendo a riferimento i principali e più affidabili parametri oggettivi elaborati nell’ambito del mercato immobiliare e che anche la percentuale di sconto riservata in favore degli inquilini acquirenti – pari al 25% del prezzo – è stata determinata all’esito di un processo di valutazione dell’impatto di detta misura sulle esigenze complessive di incasso dei relativi ricavi da parte dell’ente.

Tali valutazioni hanno tenuto conto anche delle proiezioni elaborate sul tema dall’advisor indipendente Mangusta Risk, la cui analisi ha portato ad escludere la fattibilità di ipotesi alternative che prendessero in considerazione prezzi di partenza differenti da quelli proposti ed un ampliamento dello sconto al 30%.

Le simulazioni finanziarie sviluppate al riguardo hanno evidenziato infatti che tale ipotesi avrebbe comportato minori ricavi per circa 48 milioni di euro già sulle vendite della prima tranche, con un effetto di trascinamento sul piano complessivo pari a circa 150-170 milioni di euro di minori entrate.

Peraltro, anche qualora un aumento dello sconto avesse determinato un incremento delle unità immobiliari vendute, l’effetto negativo della contrazione del prezzo ricavato da ciascuna di esse avrebbe in ogni caso neutralizzato ogni vantaggio per l’Istituto.

Tale ipotesi è risultata, quindi, totalmente impraticabile in quanto ritenuta incompatibile con le stime del fabbisogno di liquidità necessarie all’ente per garantire la corretta gestione delle tutele previdenziali e assistenziali in favore degli iscritti, che è e resta la funzione istituzionale primaria e il fulcro centrale cui indirizzare ogni azione posta in essere dall’ente.