La parità di genere conviene. A sostenerlo alcune ricerche pubblicate recentemente. Anche la Finanza con la F maiuscola è sensibile fino a finanziare azioni per eliminare il gender gap o quantomeno “governarlo”.
Dalle ricerche pubblicate è, infatti, emerso che le società con maggiore parità di genere ad alti livelli gerarchici sono meglio gestite, meno propense ad assumere rischi eccessivi, meno inclini al conformismo e più innovative rispetto ad aziende con team dirigenti esclusivamente maschili.
L’ultimo studio targato McKinsey sottolinea come “le società il cui management è attento alle parità di genere abbiano il 21% di possibilità in più di conseguire maggiori profitti rispetto a quelle meno sensibili a queste tematiche”.
Un’analisi del Peterson Institute for International Economics rivela come il passaggio da zero al 30% di leader femminili sia associato a un aumento del 15% dei profitti netti. E “tutto ciò per gli investitori si traduce in risultati migliori in termini di redditività del capitale e di performance corrette per il rischio”.
Secondo quanto pubblicato sul sito di Letetra 43 “Stando ai risultati di una ricerca del Rosenberg Equities del gruppo Axa Investment Management (braccio di investimento del gruppo assicurativo francese), le aziende americane quotate con il 20% dei componenti del board donne sono riuscite a ottenere una profittabilità maggiore della media del mercato con performance più stabili. In che modo?
Gli analisti hanno considerato la “deviazione standard”, che misura statisticamente la volatilità di un asset. E nelle società con alta parità di genere questo indicatore è pari all’1,2%, contro una media dell’1,5% e addirittura un 2% di quelle governate in via esclusiva da uomini. Il motivo è di natura psicologica: pare, infatti, che sia una peculiarità del gentil sesso non amare particolarmente il rischio, anche quando si tratta di investire sui mercati finanziari”.
E passiamo a chi si occupa direttamente di finanza. Uno studio di Credit Suisse ha dimostrato che le imprese con almeno un membro del Cda donna in media hanno sovraperformato gli indici di Borsa di riferimento di un bel 40%, vale a dire il 3,5% l’anno che sale al 3,8% se la presenza femminile è superiore al 33% tra le figure apicali.
E sempre secondo Lettera 43 “Chi è interessato al cosiddetto gender investing, può contare su alcuni strumenti ad hoc. Il primo fondo di questo genere, il Women’s Equity Fund, è stato lanciato negli Usa nel 1993, anche se il “boom” di questa tipologia di fondi è negli ultimi anni. Le cifre, tuttavia, sono ancora contenute: secondo una ricerca di Veris Wealth Partners, le masse investite sui mercati con strategie gender sono cresciute da 100 a 910 milioni di dollari tra 2014 e 2017, poca cosa considerando i trilioni di dollari che girano sui mercati finanziari.
E in Italia? Da alcuni anni esistono diversi strumenti che investono considerando la parità di genere: Ubs Asset Management ha quotato in Italia nel 2018 il primo Etf (Exchange traded fund) focalizzato sulla parità di genere.
La Banca mondiale nello stesso anno ha emesso un bond sostenibile focalizzato su gender equality e women empowerment.