La direttrice dell’Istat, Linda Laura Sabatini. ha presentato i dati relativi al 2019 su Donne e Lavoro nel corso di un’audizione alla Commissione Lavoro della Camera. 18 pagine e altrettante schede che evidenziano come il gap di genere sia una realtà anche se in diminuzione.
Dal 1977 al 2018 il tasso di occupazione è cresciuto di solo 4,8 punti percentuali nel complesso, ma analizzato per genere evidenzia dinamiche contrapposte dei due sessi: per gli uomini il tasso di occupazione è sceso di 7 punti (dal 74,6 al 67,6%), mentre per le donne è aumentato di 16 punti (dal 33,5 del 1977 al 49,5%). Conseguentemente nell’arco di 40 anni il divario di genere e diminuito da 41 punti a 18.
Ma attenzione! La diminuzione del divario di genere è dovuta sia al calo dell’occupazione maschile, che all’ aumento di quella femminile. Inoltre il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia rimane tra i più alti di Europa (circa 18 punti su una media europea di 10).
Per la componente femminile si osserva una maggiore resilienza alle crisi, dalle quali è sempre uscita prima, e meno colpita, rispetto a quella maschile. Ciò sia per la diversa struttura occupazionale per settore (le donne sono più presenti nei servizi, meno colpiti dalla crisi), sia per le trasformazioni della componente femminile dal punto di vista della formazione.
Una nuova identità femminile si fa strada, le donne vogliono realizzarsi su tutti i piani e il lavoro diventa un aspetto identitario fondamentale.
Permangono forti le differenze territoriali. Nel 2018 nel Mezzogiorno solo il 32,2% delle donne tra i 15 e i 64 anni lavora (59,7% nel Nord), un valore inferiore alla media nazionale delle donne nel 1977 (33,5%). Il tasso di occupazione maschile del Mezzogiorno viene superato dal tasso di occupazione delle donne del Nord durante la recente crisi economica e il divario da allora non ha fatto che ampliarsi (dal +0,9% nel 2012 al 3,3% del 2018).
Le donne, sul lavoro, si confermano la fascia più debole, quella che subisce più che scegliere il lavoro precario o il part time nonché l’esclusione dai ruoli apicali.
Le precarie che lavorano a tempo determinato senza certezza alcuna per il futuro, secondo l’Istat, sono il 17,3% del totale, un dato preoccupante che diventa allarme se guardiamo quello che riguarda gli impieghi part time sono circa un terzo del totale, il 32,8% delle donne lavoratrici italiane a fronte di un misero 8% degli uomini
E le libere professioniste? “Crescono di circa 100 mila unità. In aumento in particolare avvocate, psicologhe, tecniche della gestione finanziaria, contabili. La quota di lavoratrici dipendenti che, a prescindere dalla qualifica, dichiarano di coordinare il lavoro di altre persone è pari nel 2018 al 18,4%, una quota in leggera crescita rispetto al 2017 e anche rispetto al 2008″.
E se le donne sono ancora sotto-rappresentate nelle posizioni apicali, specie in alcuni comparti, emergono alcuni segnali positivi: le donne magistrato in 23 anni sono passate dal 25,8% a oltre il 50%. I progressi più marcati si registrano nei dirigenti apicali degli Enti Locali, Ministeri e Scuola, mentre è ancora troppo bassa la quota di donne ambasciatore e primario nella Sanità.
Alcuni segnali positivi emergono sul fronte della presenza femminile nei luoghi decisionali e politici, in aumento costante anno dopo anno. Le elezioni del 2018 hanno portato la quota di elette nel Parlamento italiano dal 30,7% della precedente legislatura al 35,4% dell’attuale. Dopo le elezioni del parlamento europeo del 2019 la rappresentanza italiana femminile è al 41%, raddoppiata dunque rispetto agli esiti delle elezioni del 2009 ma stabile rispetto al 2014 quando era il 40%, in linea con la media europea (41%). Molto più arretrata, e sostanzialmente stabile la situazione delle donne elette nei Consigli regionali: nel 2020 nel totale dei Consigli regionali italiani le donne sono soltanto il 21,1%. Le donne sindaco nel 2019 sono mille e 131 pari al 14,3% del totale e amministrano una popolazione di poco più di 10 milioni di abitanti (10.026.670 pari al 16,6% della popolazione totale), tutti valori in leggero aumento rispetto al 2018 ma comunque molto bassi.
Alla data di ottobre 2018, le donne presenti in tali 11 organi decisionali (Corte Costituzionale, Consiglio Superiore della Magistratura, Autorità di Garanzia, Consob, Ambasciatrici) sono in media solo il 16,8%, seppure in aumento rispetto al 2013. Continua a crescere a ritmo sostenuto, invece, la presenza delle donne nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa, anche grazie agli interventi normativi in materia.
Non si ha ancora, invece, evidenza robusta di possibili effetti delle misure di genere sulla presenza di donne manager o in generale di occupate donne in azienda né di un maggior peso delle donne nella parte alta della distribuzione del reddito all’interno dell’impresa.
Minore accesso alle figure apicali, maggiore diffusione di lavori part-time e carriere discontinue sono i fattori che assieme ad una diversa struttura per età determinano i differenziali di genere nei redditi da lavoro.
Guardando ai redditi complessivi guadagnati, nel 2017 quelli delle donne sono in media del 25% inferiore a quelli dei maschi (15.373 euro rispetto a 20.453 euro); tale differenza è diminuita dal 2008, quando era del 28%. Il divario di genere è più basso per i redditi dei dipendenti: il 24% contro il 30% nel caso di occupazione autonoma; le donne percettrici di redditi da lavoro autonomo sono comunque il 40% degli uomini. I divari sono più ampio nelle fasce di età over 45 (28,5 tra i 45 e i 54 anni e 26,1 per i percettori over 55), per le laureate, che guadagnano quasi un terzo in meo dei laureati (20.172 contro 29.698), e nelle regioni del Nord (27,5% al Nord-ovest e 28,3% al Nord-est). Nei redditi da lavoro autonomo queste considerazioni rimangono altrettanto valide ma i gap risultano maggiori.