Lo Studio. INAPP. Gli Effetti dello smart working

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“Questo lavoro esplora il ruolo dell’attitudine allo smart working nella distribuzione del reddito da lavoro in Italia”, questo l’incipit del report pubblicato da Inapp a cura di Luca Bonacini, Giovanni Gallo e Sergio Scicchitano.

“I lavoratori con un’alta attitudine al lavoro agile hanno in media un vantaggio salariale del 10% rispetto ai lavoratori con una bassa attitudine allo smart working, che raggiunge il 17% tra i lavoratori con i redditi più alti. Si dimostra – si legge nella breve presentazione- che l’attitudine al lavoro agile favorisce le fasce di reddito più alte, nonché i dipendenti di sesso maschile, i più adulti e quelli che vivono nelle province più colpite dal nuovo coronavirus. In termini di indicazioni di policy, questo lavoro rende evidente che l’eventuale diffusione del lavoro agile come modalità di lavoro ordinario, favorita dall’effetto di polarizzazione del progresso tecnico e accentuata nel corso di questa emergenza, rischia di esacerbare le già esistenti disuguaglianze di reddito in Italia. Questa dovrebbe pertanto essere affiancata da politiche di sostegno al reddito abbastanza ampie da coprire i dipendenti più vulnerabili nel breve periodo, e da politiche attive in grado di colmare potenziali lacune di competenze nel lungo periodo”.

Introduzione

“A causa della pandemia da Covid-19, al fine di contenere l’espansione del virus, il nostro Paese e molti altri hanno dovuto, da una parte, introdurre pesanti misure di quarantena domiciliare e, dall’altra, sospendere l’attività di molti settori ritenuti non essenziali, con diversi impatti sul rischio di contagio dei lavoratori, della popolazione in generale e sui livelli occupazionali. Il 4 maggio, a seguito della stabilizzazione della curva dei contagi nel nostro Paese, è iniziata la cosiddetta Fase 2 – la fase di allentamento dello stato di lockdown – nel tentativo di iniziare una sorta di ‘convivenza’ con il virus. Così come la Fase 1, anche questo contesto è caratterizzato da una diffusa incertezza, anche perché gli esperti di epidemiologia mettono in guardia da una possibile seconda ondata del virus. In un tale quadro, l’attitudine allo smart working (ASW) è una variabile cruciale perché consente: al lavoratore, di mantenere il proprio reddito e di lavorare in sicurezza da casa; al datore di lavoro, di proseguire la propria attività mantenendo le commesse esistenti; al Paese nel suo complesso, di contenere gli effetti recessivi sull’economia nazionale e limitare al contempo il rischio per la salute pubblica. Inoltre, in considerazione della gravità degli effetti della pandemia e dell’incertezza in merito ai tempi e alle modalità della fase di convivenza e uscita, il lavoro da remoto è ormai divenuto, in Italia e in molti altri Paesi, una modalità di lavoro ordinaria e non più straordinaria e sembra destinato a divenire una caratteristica strutturale dei mercati del lavoro.

In considerazione dell’importanza attuale del fenomeno, vari studi recenti hanno esaminato la sua diffusione negli USA e in altri Paesi europei, compresa l’Italia. Ciò che la letteratura internazionale ancora trascura, però, sono i potenziali effetti che l’applicazione di questo modello organizzativo ha sulla distribuzione del reddito e in generale le sue conseguenze non intenzionali in termini di disuguaglianza.

Conseguenze che invece lo studio pubblicato dall’INAPP affronta in tutti i suoi aspetti e non solo economici

Per leggere lo studio cliccare su https://oa.inapp.org/xmlui/bitstream/handle/123456789/714/INAPP_Effetti_Indesiderabili_Smart_Working_Disuguaglianza_Redditi_Italia_2020.pdf?sequence=1&isAllowed=y