Global Gender Gap Index

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Global Gender Gap Index analizza l’evoluzione dei divari di genere tra quattro dimensioni chiave (partecipazione economica e opportunità, risultati scolastici, salute e sopravvivenza, ed emancipazione politica) e segue i progressi verso la chiusura di questi divari nel tempo.

Quest’anno, il Global Gender Gap index valuta 156 paesi, fornendo uno strumento per il confronto tra paesi e per dare priorità alle politiche più efficaci necessarie per colmare i divari di genere. La metodologia dell’indice è rimasta stabile dalla sua concezione originale nel 2006, fornendo una base per una robusta analisi cross-country e a serie temporali. Il Global Gender Gap Index misura i punteggi su una scala da 0 a 100 e i punteggi possono essere interpretati come la distanza dalla parità (cioè la percentuale del divario di genere che è stato chiuso).

La 14esima edizione del rapporto, il Global Gender Gap Report 2020, è stata lanciata nel dicembre 2019, utilizzando gli ultimi dati disponibili al momento.

La quindicesima edizione del Global Gender Gap Report 2021 esce poco più di un anno dopo dello scoppio della pandemia da coronavirus. Le prime analisi suggeriscono che l’emergenza sanitaria e la relativa recessione economica hanno avuto un impatto più forte sulle donne che sugli uomini, riaprendo in parte divari che erano già stati chiusi negli anni scorsi.

Tendenze e risultati globali

A livello globale, la distanza media dalla completa parità di genere è pari al 68%, un passo indietro rispetto al 2020 (-0,6 punti percentuali). Queste cifre sono determinate, principalmente, da un declino nella performance dei grandi paesi. All’attuale velocità, saranno necessari 135,6 anni per colmare il divario di genere in tutto il mondo.1

Il divario di genere più elevato, tra i quattro indicatori monitorati, rimane quello dell’Empowerment politico con solo il 22% di divario recuperato ad oggi, con un aumento ulteriore di 2,4 punti percentuali rispetto all’edizione 2020. Nei 156 paesi coperti dall’indice del GGGR, le donne sono solo il 26,1% dei circa 35.500 seggi parlamentari e solo il 22,6% degli oltre 3.400 ministri in tutto il mondo. In 81 paesi, non c’è mai stato un capo di stato donna (dati al 15 gennaio 2021). Al ritmo attuale, il WEF stima che ci vorranno 145,5 anni per raggiungere la parità di genere in politica.

Il crescente divario di genere nella partecipazione politica è stato indotto da tendenze negative in alcuni grandi paesi che hanno controbilanciato i progressi in altri 98 paesi più piccoli. A livello globale, dalla precedente edizione del rapporto, sono aumentate le donne nei parlamenti e due paesi hanno eletto il loro primo ministro donna (Togo nel 2020 e Belgio nel 2019).

– Il divario di genere nella Partecipazione economica e nelle opportunità rimane il secondo più elevato dei quattro divari chiave monitorati dall’indice. Secondo i risultati del Global GG Index di quest’anno, il 58% di questo divario è stato finora colmato, con un miglioramento minimo rispetto all’edizione precedente (2020). Di conseguenza stimiamo che ci vorranno altri 267,6 anni per chiudere tale divario.

Il lento progresso osservato nella chiusura del divario di genere nella partecipazione economica e opportunità è il risultato di due tendenze opposte. Da un lato, il continuo aumento della quota di donne tra i professionisti qualificati, così come il progresso verso l’uguaglianza salariale (anche se ad un ritmo più lento). Dall’altro lato, pesano le disparità di reddito complessive colmate solo in parte e la persistente assenza di donne nelle posizioni di leadership (le donne rappresentano solo il 27% di tutte le posizioni manageriali). Inoltre, i dati disponibili per il 2021 non riflettono ancora appieno l’impatto della pandemia. Le proiezioni per un numero selezionato di paesi mostrano che i divari di genere nella partecipazione alla forza lavoro si sono accresciuti dallo scoppio della pandemia ad oggi. A livello globale, il divario economico di genere potrebbe quindi essere tra l’1% e il 4% più ampio di quanto riportato nel Rapporto.

– I divari di genere nei risultati scolastici e nella salute e sopravvivenza sono invece quasi del tutto recuperati. Nel livello d’istruzione, il 95% del divario di genere è stato chiuso a livello globale, con 37 paesi che già hanno raggiunto la parità. Tuttavia, l’“ultimo miglio” procede lentamente. L’indice stima che secondo i progressi attuali, ci vorranno altri 14 anni per chiudere completamente tale divario. In termini di Salute e Sopravvivenza, il 96% del divario di genere è stato chiuso, con un calo marginale rispetto allo scorso anno (ma non dovuto alla Covid-19). Il tempo necessario per chiudere questo divario non è facilmente definibile. Quindi, per l’istruzione e la salute pur essendo il progresso superiore a quelli dell’economia e della politica, in futuro potrebbero pesare le interruzioni dovute alla pandemia, così come le continue variazioni nella qualità da reddito, geografia, razza ed etnia.

Divari di genere, COVID-19 e il futuro del lavoro

I dati ad alta frequenza per le economie selezionate da OIL, LinkedIn e Ipsos offrono un’analisi tempestiva dell’impatto della pandemia da Covid-19 sui divari di genere nella partecipazione economica. Le prime proiezioni dell’OIL suggeriscono che il 5% di tutte le donne ha perso il lavoro, rispetto al 3,9% degli uomini occupati. I dati di LinkedIn mostrano inoltre un netto declino delle assunzioni di donne in ruoli di leadership, con un’inversione di 1 o 2 anni di progresso in diversi settori. Mentre i settori delle tecnologie e servizi informatici, dei servizi finanziari, della salute e dell’assistenza sanitaria, e del manifatturiero sembrano contrastare questa tendenza, si osserva una distruzione complessiva dei ruoli manageriali nelle industrie a maggiore partecipazione femminile, ossia, consumi, non profit, media e comunicazione. Inoltre, i dati Ipsos di gennaio 2021 mostrano che un più lungo “doppio turno” di lavoro retribuito e non retribuito, in un contesto di chiusura delle scuole e disponibilità limitata di servizi di assistenza, hanno contribuito a un aumento generale dello stress, dell’ansia per l’insicurezza del lavoro e della difficoltà a mantenere l’equilibrio tra lavoro e vita privata per le donne con figli.

La crisi da Covid-19 ha anche accelerato l’automazione e la digitalizzazione, con un rilevante sconvolgimento del mercato del lavoro. I dati ci mostrano le sfide significative che deriveranno per la parità di genere nel futuro del lavoro, a causa della crescente segregazione occupazionale di genere dei lavori. Solo due degli otto cluster del “future of work” analizzati (People & Culture e Content Production) hanno raggiunto la parità di genere, mentre la maggior parte mostra una grave sotto-rappresentazione femminile.

I divari di genere sono più probabili nei settori che richiedono competenze tecniche dirompenti. Per esempio, nel Cloud Computing, le donne costituiscono il 14 per cento della forza lavoro; tra gli ingegneri informatici, il 20%; e nei Data intelligence e intelligenza artificiale rappresentano il 32%. Mentre gli otto cluster tipicamente sperimentano un alto afflusso di nuovi talenti, ai tassi attuali questi afflussi non riequilibrano la segregazione occupazionale, e la transizione negli ambiti in cui le donne sono attualmente sottorappresentate appare difficile. Ad esempio, l’attuale quota di donne nel Cloud Computing, che abbiamo visto essere pari al 14 per cento, è migliorata solo di 0,2 punti percentuali, mentre la quota di donne nei ruoli del Data intelligence e AI ha visto un lieve calo rispetto a febbraio 2018 (- 0,1 punti percentuali).

Il GGGR 2021 presenta in anteprima anche una nuova misura creata in collaborazione con il team di LinkedIn Economic Graph che cattura la differenza tra le probabilità di uomini e donne nel fare un ambizioso cambio di lavoro. L’indicatore mostra che le donne sperimentano un maggiore divario di genere, nelle transizioni fondate sul potenziale, nei campi in cui sono attualmente sottorappresentate, come il Cloud Computing, dove il divario di job-switching è del 58%; come l’ingegneria, dove il divario è del 42%; e come lo sviluppo del prodotto, dove il divario è pari al 19%.

Attraverso l’effetto combinato dell’automazione accelerata, il crescente “doppio turno”, e ulteriori dinamiche del mercato del lavoro, come la segregazione occupazionale, la pandemia avrà probabilmente un effetto di stop per le future opportunità economiche delle donne, con il rischio di diminuire le prospettive di rioccupazione e di avere un persistente calo di reddito.

Tali sfide dovrebbero essere affrontate con politiche e piani di ripresa gender friendly. In primo luogo, il rapporto raccomanda ulteriori investimenti nel settore dell’assistenza e in un accesso paritario per uomini e donne ai congedi per l’assistenza a minori e altre persone a carico. In secondo luogo, le politiche e le pratiche devono concentrarsi proattivamente sul superamento della segregazione occupazionale di genere. In terzo luogo, efficaci politiche di riqualificazione nel corso  della vita lavorativa (metà carriera), combinate con pratiche manageriali che incorporano regole per le assunzioni e promozioni trasparenti e imparziali, apriranno la strada a un futuro del lavoro più equo dal punto di vista del genere.

Divari di genere per paese e Regione

Per la dodicesima volta, l’Islanda è il paese più equo dal punto di vista del genere al mondo. La top 10 comprende: Islanda (89,2%), Finlandia (86,1%), Norvegia (84,9%), Nuova Zelanda (84%), Svezia (82,3%), Namibia (80,9%), Ruanda (80,5%), Lituania (80,4%), Irlanda (80%), Svizzera (79,8%).

I cinque paesi che hanno registrato i progressi più significativi nel Global Index sono la Lituania, la Serbia, Timor-Est, il Togo e gli Emirati Arabi Uniti, che hanno ridotto il rispettivo divario di genere di almeno 4,4 punti percentuali punti percentuali o più. Timor-Est e Togo sono anche tra i quattro paesi (compresi Costa d’Avorio e la Giordania) che sono riusciti a ridurre di almeno 1 punto percentuale in un anno il divario di partecipazione economica e opportunità. Nel 2021 sono stati inclusi nella valutazione tre nuovi paesi: Afghanistan (44,4% di divario di genere chiuso finora, 156° posto nel ranking mondiale), Guyana (72,8%, 53°) e Niger (62,9%, 138°).

Ci sono disparità significative tra aree geografiche e all’interno delle stesse. L’Europa occidentale rimane la regione che ha fatto i maggiori progressi generali verso la parità di genere (77,6% media) anche quest’anno. Il Nord America è al secondo posto (76,4%), in miglioramento quest’anno, seguito da America Latina e Caraibi (71,2%), Europa orientale e Asia centrale (entrambi a 71.1%). Qualche decimale sotto c’è la regione dell’Asia Orientale e Pacifico (68,9%), una delle regioni che ha registrato i miglioramenti più significativi, appena davanti all’Africa sub-Sahariana (67,2%) e avanti all’Asia meridionale (62.3%). La regione del Medio Oriente e del Nord Africa rimane l’area con il maggior divario tra generi (60,9%)

All’attuale ritmo relativo, i divari di genere potrebbero essere colmati in 52,1 anni nell’Europa occidentale, in 61,5 anni nel Nord America e in 68,9 anni in America Latina e nei Caraibi.

In tutte altre regioni occorreranno più di 100 anni per chiudere il divario di genere: 121,7 anni nell’Africa sub-Sahariana, 134,7 anni nell’Europa orientale e Asia centrale Asia, 165,1 anni nell’Asia orientale e nel Pacifico, 142,4 anni in Medio Oriente e Nord Africa, e 195,4 anni nell’Asia meridionale.

ITALIA

L’Italia si piazza al 63° posto della classifica del Global Gender Gap Index, con un progresso di 13 posizioni rispetto al 2020 (in costante miglioramento dal 2006). Tuttavia, nella regione dell’Europa occidentale e Nord America risultiamo al 19° posto su 22 (davanti solo a Cipro, Malta e Grecia).

Quanto a partecipazione economica e opportunità il nostro paese scivola al 114° posto con un gap di genere nella partecipazione nel mercato del lavoro pari a 25 punti percentuali (-1,76 punti percentuali nel tasso di partecipazione) e una quota di donne nelle posizioni manageriali che si ferma al 27% del totale (contro il 42% dell’Islanda e il 40,3% della Svezia). L’occupazione femminile è caratterizzata, inoltre, da un’elevata percentuale di part time (49,9%).

Migliore la posizione italiana nell’indicatore livelli di istruzione dove risultiamo al 57° posto con un punteggio di 0,997 su 1000. Tuttavia, gli ambiti preferiti per gli studi superiori sono ancora prevalentemente quelli umanistici e giuridico-economici (rispettivamente: 19,5% e 17,2%), con una ripresa delle STEM interessante ma ancora insufficiente rispetto ai giovani uomini (15,7%  contro 33,9%).

L’empowerment politico appare essere il sub-indicatore migliore, con un 41° posto, tuttavia alle spalle di quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale con solo il 34,4% di senatrici.

Non ci fa onore il 118° posto nel divario di genere negli ambiti della salute e sopravvivenza. Né la quota di donne che subiscono violenze di genere nell’arco della loro vita (19%).

Le attività di cura dedicata alla famiglia incidono ancora fortemente sui divari di genere registrati dal GGGR2021. La distribuzione dei congedi parentali, ad esempio, è fortemente sbilanciata verso le donne (47,7 settimane contro 8 giorni degli uomini). La spesa pubblica in servizi per la prima infanzia (% di PIL) è pari allo 0,56%. L’età media delle donne italiane al primo figlio è prossima ai 32 anni (31,8) e il numero di figli per donna è 1,33.

http://www3.weforum.org/docs/WEF_GGGR_2021.pdf

https://www.weforum.org/reports/global-gender-gap-report-2021?utm_source=sfmc&utm_medium=email&utm_campaign=2744397_Agenda_weekly-9April2021&utm_term=&emailType=Newsletter