Istruzione e formazione. I gap di genere e territoriali sono ancora tutti lì

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A sostenerlo, ancora una volta, l’Istat che fotografa un’ Italia dove solo il 20,1% della popolazione (di 25-64 anni) possiede una laurea contro il 32,8% nell’Ue. Un Paese che non è ancora riuscito a colmare i le differenze tra nord e sud né quelle tra donne e uomini anche se quest’ultimo si accorcia grazie ai livelli di istruzione femminili più alti. E se confrontiamo i dati sull’Italia con il resto dell’Europa i nostri giovani sono in difficoltà nel raggiungere quel grado di formazione necessario per stare al passo dei tempi. Un dato tra tutti: nella quota di popolazione con almeno un diploma l’Italia registra un 62,9% contro 79,0% nell’Ue27.

Le quote di laureati sono più alte al Nord (21,3%) e al Centro (24,2%) rispetto al Mezzogiorno (16,2%) ma comunque lontane dai valori europei. Ma un dato positivo invece c’è ed è grazie alle donne. Per la componente femminile l’incidenza delle discipline STEM in Italia è persino superiore a quella registrata nella media Ue22 e negli altri grandi paesi europei. Questo risultato deriva dal maggior peso relativo di lauree STEM nell’area disciplinare di scienze naturali, matematica e statistica, ma anche di ingegneria.

La partecipazione degli adulti alla formazione è inferiore alla media europea, con differenze più forti per la popolazione disoccupata o con bassi livelli di istruzione.

Cresce il divario con l’Ue nei livelli di istruzione In Italia solo il 20,1% della popolazione (di 25-64 anni) possiede una laurea contro il 32,8% nell’Ue. Le quote di laureati sono più alte al Nord (21,3%) e al Centro (24,2%) rispetto al Mezzogiorno (16,2%) ma comunque lontane dai valori europei. Ampia distanza dagli altri paesi europei anche nella quota di popolazione con almeno un diploma (62,9% contro 79,0% nell’Ue27). La partecipazione degli adulti alla formazione è inferiore alla media europea.

Dallo studio Istat emerge inoltre che l’apprendimento permanente durante tutto l’arco della vita (lifelong learning) assume sempre maggiore rilevanza soprattutto alla luce dei cambiamenti nel mercato del lavoro, della mobilità lavorativa e dell’innovazione tecnologica.

I dati

Stabile il divario di genere a conferma dei più alti livelli di istruzione femminili

Nel 2020, la crescita dei livelli di istruzione delle donne è simile a quella maschile: +0,6 contro +0,7 punti, per la quota di popolazione con almeno un diploma; +0,6 contro +0,4 punti, per la popolazione laureata.. Il livello di istruzione delle donne rimane sensibilmente più elevato di quello maschile: le donne con almeno il diploma sono il 65,1% e gli uomini il 60,5%, una differenza ben più alta di quella osservata nella media Ue27, pari a circa un punto percentuale. Le donne laureate sono il 23,0% e gli uomini il 17,2%; il vantaggio femminile, ancora una volta più marcato rispetto alla media Ue, non si traduce però in analogo vantaggio in ambito lavoratori. .Anche le donne straniere hanno un livello di istruzione più elevato rispetto alla componente maschile: cinque straniere su dieci possiedono almeno il diploma contro quattro uomini su dieci, il 14,3% di queste è laureato contro l’8,3% degli uomini.

La quota di laureate in discipline STEM è la metà di quella maschile

Nel 2020, il 24,9% dei laureati (25-34enni) ha una laurea nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche; le cosiddette lauree STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Il divario di genere è molto importante, se si considera che la quota sale al 36,8% tra gli uomini (oltre un laureato su tre) e scende al 17,0% tra le donne (una laureata su sei) (Figura 3). La quota di laureati in discipline STEM è simile nel Centro e nel Mezzogiorno (23,7% e 23,0%, rispettivamente), mentre è più elevata (26,6%) nel Nord. Le differenze territoriali aumentano notevolmente se si osserva la componente maschile: la quota di laureati STEM tra i giovani uomini residenti nel Nord è elevata (42,8%) e decisamente superiore a quella nel Centro e nel Mezzogiorno (32,4% e 29,2% rispettivamente). Tra le donne, invece, la quota di laureate STEM nel Nord è di qualche punto inferiore a quelle del Centro e del Mezzogiorno. Ne consegue che la differenza di genere nella quota di laureati in discipline tecnico-scientifiche è massima nel Nord, pari a 27,7 punti, e scende a 14,1 nel Centro e a 10,1 punti nel Mezzogiorno. La quota di 25-34enni con un titolo terziario nelle discipline STEM in Italia è simile alla media Ue22 (i paesi dell’Unione europea membri dell’OCSE, 25,4% nel 2018vi) e al valore del Regno Unito (23,2%), è invece inferiore al valore di Francia (26,8%) e Spagna (27,5%) e piuttosto distante dalla Germania (32,2%).

Minima la partecipazione dei disoccupati alla formazione continua

Nel 2020, la partecipazione in Italia al lifelong learning è minima tra i disoccupati e massima tra gli occupati (4,4% verso 7,6%,) mentre nel resto d’Europa è massima tra i disoccupati (10,5% rispetto a 9,5% degli occupati nella Ue27) (Figura 7). Il divario Italia-Europa è dunque massimo proprio per le persone disoccupate in età attiva (25-64 anni), (una delle popolazioni target dell’Agenda europea per le competenze) che devono riallocarsi nel mondo del lavoro e spesso hanno competenze acquisite lontano nel tempo e dunque più obsolete. Nondimeno, anche la partecipazione alla formazione della popolazione inattiva è importante per l’inclusione sociale e la qualità della vita; in Italia l’incidenza è del 6,8%, valore leggermente inferiore al valore medio Ue27 (7,7%) e a quelli di Francia, Spagna (oltre il 9%) e Germania (8,7%).

 

Maggiore partecipazione formativa delle donne

La partecipazione alle attività formative è maggiore tra le donne (7,4% contro 7,0%) sia tra quelle occupate (8,8% contro il 6,7% degli uomini) che tra le disoccupate (5,3% contro 3,6%). Solo tra gli inattivi il divario di genere nel lifelong learning è a favore della componente maschile (9,3% contro 5,7%). Queste tendenze di genere sono in linea con la media europea. La quota di popolazione che partecipa alla formazione continua è superiore nel Nord e nel Centro (8% e 7,8%) rispetto al Mezzogiorno (5,7%), anche per effetto del più basso livello di istruzione che mediamente caratterizza la popolazione in quest’area. Se, infatti, il confronto viene fatto a parità di livello di istruzione le differenze si attenuano in misura decisa. In Italia, nel 2020 è in formazione il 14,6% dei 25-34enni – l’alta partecipazione è legata all’istruzione formale ancora in fase di completamento – il 6,6% dei 35-44enni, il 5,6% dei 45-54enni e il 4,0% dei 55-64enni. A parità di livello di istruzione, la partecipazione nelle fasce d’età comprese tra i 35 e i 54 anni diventa simile mentre si conferma la minore partecipazione nella classe di età più matura 55-64 anni. L’impatto dell’emergenza sanitaria da Covid-19 sulla partecipazione alle attività formative è stato più forte tra le donne (-1,2 punti contro -0,7 punti negli uomini) in particolare tra quelle occupate o con titolo di studio medio-alto

L’apprendimento permanente durante tutto l’arco della vita (lifelong learning) assume dunque sempre maggiore rilevanza soprattutto alla luce dei cambiamenti nel mercato del lavoro, della mobilità lavorativa e dell’innovazione tecnologica. Questi fattori accrescono il rischio di un’obsolescenza delle competenze e richiedono continui adattamenti e riqualificazioni. Inoltre, la partecipazione ad attività formative durante tutto l’arco della vita favorisce la vita sociale degli individui, una cittadinanza attiva e la coesione sociale. L’Europa ha posto come target della Strategia Europa2020 l’innalzamento ad almeno il 15% della quota di popolazione tra i 25 e i 64 anni che ha partecipato ad un’attività di istruzione e/o formazione recente (nelle quattro settimane precedenti l’intervista)viii. Anche la nuova Agenda europea per le competenze fissa gli obiettivi in termini di apprendimento da conseguire entro i prossimi cinque anni, sottolineando l’importanza di accrescere la partecipazione alle attività formative e di garantire un’adesione socialmente equa, rivolgendo particolare attenzione agli adulti poco qualificati (con al più un titolo di istruzione secondaria inferiore) e ai disoccupati.

Nel 2020, la partecipazione degli adulti a un’esperienza di apprendimento recente in Italia è inferiore al valore medio dell’Ue27 (7,2% contro 9,2%) e a quello di Francia (13,0%), Spagna (11,0%) e Germania (7,7%). Dopo una stazionarietà protrattasi per diversi anni la quota risulta in calo di 0,9 punti anche per la pandemia Covid-19 e le relative misure di contenimento che hanno imposto chiusure e limitazioni agli spostamenti e alle attività. La flessione è stata tuttavia relativamente contenuta rispetto a quanto registrato nella Ue27 (-1,6 punti) e in alcuni Paesi, tra i quali la Francia (-6,5 punti). Tra i fattori che più influenzano la partecipazione degli adulti alla formazione continua vi è il livello di istruzione posseduto. Nel 2020, l’incidenza del lifelong learning è pari al 16,9% tra chi ha un titolo terziario, si riduce al 7,6% tra i diplomati ed è solo dell’1,4% tra chi ha un basso titolo di studio (Figura 6). Quest’ultimo valore – pur minimo anche negli altri grandi Paesi – è decisamente più basso rispetto alla media europea, mentre gli altri valori sono piuttosto in linea. Eppure, un’ampia partecipazione alle attività formative, l’aggiornamento delle competenze e la riqualificazione professionale sarebbero necessarie per gli individui più vulnerabili, i quali con più difficoltà tengono il passo dell’innovazione tecnologica e delle trasformazioni da questa indotte. Inoltre, la formazione continua supplirebbe alla scarsa istruzione

Nell’apprendimento permanente prevalenti i motivi lavorativi La quota di chi partecipa ad attività formative per ragioni professionali è pari all’84,1% e sale all’86,6% tra coloro che hanno un titolo di studio elevato; si attesta all’87,8% tra gli occupati mentre scende al 77,3% tra i disoccupati e al 46,5% tra gli inattivi. L’incidenza delle ragioni professionali è in progressiva espansione dal 2014 ma è nel 2020 che si registra un aumento di oltre dieci punti soprattutto perché le limitazioni imposte dalla pandemia di COVID19 hanno condizionato di più la formazione per interesse personale rispetto a quella per motivi professionali (Figura 8). Sull’apprendimento permanente gioca un ruolo importante il fatto che la formazione sia organizzata e/o finanziata dall’impresa presso la quale si lavora, come avviene per oltre la metà degli occupati in formazione (52,9%). Le quote, inoltre, diminuiscono all’aumentare del titolo di studio: 48,6% tra chi ha un alto titolo di studio, 56,4% tra chi ha un medio livello di istruzione e 59,8% tra chi ha un basso titolo. Ciononostante, le forti differenze nelle incidenze del lifelong learning per livello di istruzione, a vantaggio dei livelli di istruzione più elevati, confermano come la formazione sul luogo di lavoro sia fortemente centrata verso i profili professionali più alti e con più elevati livelli di istruzione.

 

https://www.istat.it/it/files//2021/10/REPORT-LIVELLI-DI-ISTRUZIONE-2020.pdf