“Le ultime ad entrare, le prime a uscire”

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È questa la sintesi della condizione professionale delle donne nel mercato del lavoro che tuttora persiste in Italia come emerge dall’ultima edizione del Rapporto sul mercato del lavoro del CNEL e dai dati della consultazione sulla parità di genere cui hanno risposto oltre 28mila cittadini e cittadine.

Per il presidente del CNEL, Tiziano Treu, aprendo la giornata di riflessione sull’occupazione femminile, “L’Italia è molto indietro rispetto al tema dell’uguaglianza di genere nonostante i grandi passi avanti fatti negli ultimi due decenni. Secondo l’ultimo Global gender index del World Economic Forum su 156 Paesi analizzati, il nostro Paese è al 114esimo posto per quanto riguarda la partecipazione economica, cioè sugli aspetti di lavoro e reddito. La parità è ancora lontana”.

“L’Italia ha scelto di investire nel lavoro delle donne e lo ha fatto introducendo strumenti innovativi e azioni concrete con la Strategia nazionale per la parità di genere, la prima di cui il nostro Paese si è dotato, nell’ambito del Piano Italia Domani – fa eco la Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti – Decontribuzione del costo del lavoro femminile, condizionalità per gli appalti del Pnrr su donne e giovani, premialità e incentivi alle imprese, servizi di welfare: oggi le aziende sanno che è conveniente assumere donne e promuovere carriere femminili. La strada è tracciata e l’obiettivo è chiaro, aumentare quantità e qualità del lavoro femminile e costruire un futuro di sviluppo per tutte e tutti, frutto del contributo e delle competenze delle donne e degli uomini insieme”.

“Negli ambiti della formazione e della ricerca il tema della parità di genere è molto sensibile e uno dei punti strategici su cui si deve investire se si vogliono cambiare le cose. Noi lo faremo prima di tutto coinvolgendo le ricercatrici del PNRR: almeno il 40% delle assunzioni che riguarderanno la missione 4, dedicata all’istruzione, andranno alle donne. E poi un’altra misura adottata è quella di ammettere ai bandi solo gli enti che hanno introdotto un piano per la parità di genere e un bilancio di genere. Un parametro che riguarda non solo università ed enti di ricerca, ma anche i privati – ha detto la ministra dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa – Nell’ambito della ricerca, c’è già una parità a livello di numero di ricercatori. Ma più si va avanti nelle carriere, più questa percentuale si riduce. Le donne si laureano prima e con voti migliori rispetto agli uomini, ma poi hanno più difficoltà a entrare nel mondo del lavoro, e quando riescono a farlo guadagnano meno dei colleghi maschi”.

Ed infine, per Chiara Goretti, coordinatrice della segreteria tecnica del PNRR “questo interviene in modo ampio e coordinato sui divari di genere ed è rafforzato dal vincolo, fortemente voluto dal Parlamento, che una quota pari almeno al 30 per cento delle nuove assunzioni legate ai bandi del PNRR debba essere riservata alle donne (e un ulteriore 30 per cento a giovani). In alcuni settori, come quello della ricerca, è verosimile attendersi che il vincolo produca un eccellente risultato, con un ampio sostegno dell’occupazione femminile. In altri, come quello dell’edilizia l’incidenza dell’occupazione femminile (nonché le caratteristiche stesse dell’attività) suggeriscono maggiore cautela e presuppongono la possibilità di invocare deroghe all’applicazione generalizzata della soglia del 30 per cento. Le linee guida attuative della misura hanno fornito alcune prime indicazioni sulla sua applicazione, che potranno essere aggiornate anche alla luce degli elementi che emergeranno dal monitoraggio effettuato e che potranno essere oggetto di valutazione anche nella più ampia revisione del Codice degli appalti”.

 

Il contesto

L’aumento dell’occupazione a settembre 2021, osservato per gli uomini e soprattutto per le donne, coinvolge in particolare i dipendenti a tempo determinato (ed è quindi una occupazione precaria e di breve respiro), le persone tra i 25-34 anni e gli ultra 50enni. Il tasso di occupazione in Italia sale quindi al 58,3% (+0,2 punti rispetto al 2020: Istat, 2021) ma la media dei Paesi OCSE aggiornata al giugno 2021 si attesta sul 67,4%, confermando quindi la distanza siderale che continua a caratterizzare – soprattutto rispetto alla componente femminile ed alle regioni meridionali – il contesto italiano.

“Last in – first out. Se si trasferisce questo concetto, che viene dalla logistica, al mercato del lavoro italiano e lo si legge in termini di opportunità di ingresso nell’occupazione e di rischio di uscirne prima di altri, è facile individuare quali segmenti dell’offerta di lavoro risultino più deboli: i giovani, le donne e gli stranieri presentano tutte le caratteristiche per essere confinati nell’alone che circonda il nucleo più stabile dell’occupazione, costituito da uomini delle classi centrali d’età, se non le più anziane, e di provenienza nazionale” è una delle evidenze emerse dall’analisi dei dati della consultazione pubblica del CNEL sulla parità di genere cui hanno risposto oltre 28mila cittadine e cittadini di cui più del 50% giovani, i cui risultati saranno presentati durante il convegno.

A fine 2020 il totale delle donne che “vorrebbero, ma non possono lavorare”, a causa di condizionamenti che non riescono a superare, sale a 1 milione e 803mila. Più consistente il flusso verso l’inattività senza condizioni: sono 272mila in più le donne che scelgono di non cercare lavoro e che rinunciano del tutto alla dimensione lavorativa. A fine 2020 lo stock di donne fuori dal mercato raggiunge i 14 milioni e 375mila persone, con un tasso di crescita dell’1,9%.

Già solo questi dati quantitativi rappresentano efficacemente la situazione di debolezza in cui versano le donne quando si tratta di decidere sul lavoro. In realtà la prospettiva generale è anche più complicata del mero conteggio di chi entra e di chi esce dall’occupazione, di chi transita spesso involontariamente dalla condizione di attività a quella dell’inattività. La parità di genere, nonostante la tutela costituzionale, resta ancora incompiuta, così come le diverse declinazioni che essa può assumere in termini di uguaglianza retributiva, merito, conciliazione con la vita familiare. Uno specchio del ritardo con cui in Italia si sia cominciato a ragionare seriamente sugli impatti negativi che discendono da una bassa partecipazione delle donne anche dato dall’insufficienza di infrastrutture sociali che potrebbero aiutare la permanenza delle donne nell’occupazione, come asili nido o strumenti di cura delle persone anziane o disabili.