Editoriale. Andrea Melodia. Il mestiere di giornalista? Tutto cambia

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di Andrea Melodia *

Era il 1938, 85 anni fa, quando Orson Welles spaventò gli Stati Uniti raccontando, dal network radio della CBS, che i marziani avevano invaso la Terra e uccidevano. Era uno sceneggiato ispirato da un romanzo, La guerra dei mondi, ma venne scambiato per vero.

Ricordo questo fatto, ben noto, perché credo abbia segnato una svolta: una fiction venne percepita come cronaca giornalistica, e da allora, in misura via via crescente, la cronaca giornalistica è stata trattata, drammatizzata, sottoposta alle regole narrative della finzione, quelle che, da Aristotele in avanti, gli scrittori dovrebbero imparare.

Così è cambiato il mestiere del giornalista. Non bastavano più le quattro W, chi, dove, quando e perché. Ora contava di più “come” lo racconti. E, ovviamente, l’avvento della televisione, nella seconda metà del ventesimo secolo, ha aggiunto il potere delle immagini e del loro linguaggio specifico a quello della diretta, influenzando potentemente anche il modo di raccontare dei giornali tradizionali.

Era già stata, in pochi decenni, una rivoluzione profonda: si manifestavano crescenti raccomandazioni di ordine deontologico e etico, le ricerche nella sociologia delle comunicazioni allertavano sugli effetti delle nuove modalità di informazione nei confronti della opinione pubblica. Qualcuno cominciava a chiedersi se tutto questo non creasse problemi nel funzionamento della democrazia.

Ma la velocità della evoluzione tecnologica ha travolto questa situazione già instabile.

Internet, i social media, i cellulari in mano a tutti hanno moltiplicato a dismisura le performance comunicative, nelle quali informazione e invenzione, racconto e narrazione autoreferenziale si mescolano e si confondono all’infinito. Già siamo entrati nell’era del caos della comunicazione, e ancora non sappiamo se l’avvento della Intelligenza Artificiale, ormai realtà operativa, moltiplicherà la confusione oppure saprà frenarla.

È evidente che nel nuovo ambiente sono migliorate le competenze e sono maturate le consapevolezze. Nessuno più si farebbe incantare dal pur bravissimo Orson Welles. Però anche l’irresponsabilità, a volte criminale, o la semplice impreparazione e sono altamente diffuse. Basta pensare ai tanti genitori che affidano il cellulare ai bambini e agli adolescenti di ogni età, senza alcun controllo.

In grande sintesi, in questo quadro si colloca la professione del giornalista, oggi.

Una professione in crisi dal punto di vista occupazionale, non potendo più contare su solide testate tradizionali a stampa, costretta invece a orientarsi verso radio e tv sempre più incapaci di distinguere tra informazione e intrattenimento, oppure verso la precarietà strutturale del web. Nel frattempo, l’intelligenza artificiale si prepara a togliere il lavoro a chi riscrive, seleziona, organizza: forse anche a chi oggi fa le scelte finali della catena produttiva.

Eppure, mi sembra evidente che in questa situazione di crisi si possono riconoscere i germi possibili di un rilancio, di un nuovo impegno per la professione giornalistica.

Intanto, già il caos impone nuova responsabilità. Anche ammesso che un po’ di ordine venga introdotto non dall’uomo, ma da nuovi algoritmi, resta il fatto che questi algoritmi vanno sviluppati e controllati perché rispettino la verità e non facciano danni. Capacità tecnica nella creazione e controllo degli algoritmi che processano l’informazione, e responsabilità professionale nel rispettare la dignità umana e la verità sostanziale dei fatti, devono trovare una sintesi: occorrono, potremmo dire, veri giornalisti che siano anche veri ingegneri. In alternativa, giornalisti che scelgano di dedicarsi a quello che l’Intelligenza Artificiale non saprà mai fare: consumare le scarpe.

Questo riguarda l’impegno e la responsabilità personale del professionista. Naturalmente, non basta: ci sono problemi strutturali e economici di natura generale. È necessario un ambiente in cui chi segue le regole viene aiutato, chi non le rispetta viene dissuaso. Un ambiente in cui la verità non dipenda dal padrone di turno. Ciò richiede soprattutto buone norme e corretti interventi pubblici, ma anche una evoluzione della cultura sociale che li accompagni, facendo crescere anche le agenzie private – associazioni, fondazioni, … – che si prefiggono questi compiti.

Mi pare inevitabile, infine, una preoccupazione di ordine politico. Il sistema democratico si basa sulla partecipazione alla vita pubblica, al voto, e sulla conoscenza degli avvenimenti e delle opinioni. La partecipazione è in forte crisi ovunque, forse per le distorsioni e il sovraccarico di informazione sul mondo politico. Distorsioni e sovraccarico intaccano anche l’incontro con gli avvenimenti e le opinioni.

Per contrastare la deriva occorre che il lavoro giornalistico proceda salvaguardando la propria autonomia e responsabilità: non scelte tra destra e sinistra, ma tra cosa è utile al benessere sociale, da una parte, e dall’altra tutto ciò che serve a sollecitare gli istinti, a seminare angosce e risposte irrazionali alla complessità del mondo contemporaneo.

Autocensura? Chiamiamola come si vuole, io preferisco considerarla responsabilità politica.

Forse sarebbe tutto molto più facile se un rinnovato Servizio Pubblico della Comunicazione, autonomo e responsabile, sapesse mettersi alla guida di comportamenti corretti.

 

*È stato alle dipendenze della Rai dal 1966. Redattore del Telegiornale, nel 1976 opta per il TG1 di Emilio Rossi divenendo poi caposervizio della redazione Servizi Speciali e della redazione Coordinamento, poi caporedattore della cronaca e della Segreteria di redazione. Negli anni ’70 è stato per un decennio presidente nazionale del Centro Studi Cinematografici, associazione di circoli del cinema di ispirazione cattolica. A partire dal 1987 entra in Direzione generale della Rai come vicedirettore giornalistico, alle dipendenze del vicedirettore generale per il coordinamento della TV Emmanuele Milano. Lascia la Rai nel 1991 per andare a dirigere Telemontecarlo. Rientra in Rai nel 1994 e nel 1995 è direttore della nuova struttura Gestione diritti, da cui dipende la produzione di tutta la fiction dell’azienda. Da allora, e prima di lasciare la Rai nel 2009, è stato vicedirettore vicario di Rai 1, ha avviato la struttura poi divenuta Rai Teche, ha curato le trasmissioni del Giubileo del 2000 ed è stato Coordinatore delle sedi regionali.Per 17 anni accademici ha ricoperto incarichi di insegnamento alla Università LUMSA, per Teorie e tecniche del linguaggio radiotelevisivo e Storia della radio e della televisione.Dal 2009 al 2016 è stato presidente nazionale dell’UCSI, l’associazione dei giornalisti cattolici italiani.Attualmente è consigliere di amministrazione di TV2000 e vicepresidente dell’associazione Infocivica.