Il IX Rapporto annuale sulle libere professioni in Italia, pubblicato dall’Osservatorio delle Libere Professioni, si apre con la sezione dedicata ai confronti internazionali, in particolare con uno sguardo ai principali indicatori della congiuntura economica europea e un affondo su alcuni elementi strutturali dell’economia nazionale (Pil, produttività, retribuzioni, occupazione) in prospettiva comparata. Gli indicatori convergono nel sancire la definitiva uscita dalla crisi economica determinata dalla pandemia e con essa il ritorno a tassi di crescita più contenuti.
Nel 1995 Germania e Italia avevano un Pil pro capite intorno ai 36-37.000 dollari, sotto
di appena quattromila dollari pro capite rispetto agli Usa. Nel 2023 il Pil pro capite
americano ha raggiunto la cifra record di circa 65 mila dollari pro capite, distanziando
la Germania di 15 mila dollari e l’Italia di ben 22 mila dollari).
La dinamica trimestrale del Pil più recente (2022-2024) evidenzia per l’Ue nel suo
complesso dei tassi di crescita sempre positivi, con le sole eccezioni del IV trimestre
2022, (-0,1%) e del IV trimestre 2023, caratterizzato da crescita nulla. Risalta in
particolare, nell’ultimo biennio, la prestazione della Spagna, che cresce a ritmi più
sostenuti delle altre economie. Tra il 2000 e il 2023 il Pil italiano è aumentato del 7,7%,
una crescita decisamente inferiore rispetto a quella dei vicini europei Francia (31,9%),
Germania (27,9%) e Spagna (39,7%).
L’incremento complessivo del Pil in volume italiano è il risultato di un aumento degli occupati e della produttività oraria, rispettivamente pari al 12,9% e all’1,4%, e di una diminuzione del -6,3% delle ore lavorate per occupato. Il principale fattore che determina il basso livello di crescita del Pil italiano è la produttività oraria, che negli altri paesi sperimenta un aumento decisamente superiore, che spazia tra il 15,1% della Francia e il 21,5% della Germania (in Spagna è pari al 18,7%).
Dal 2013 al 2023, le retribuzioni lorde annue per dipendente in Italia sono aumentate complessivamente del 16% circa, con un incremento pari a poco più della metà della media europea (+30,8%). In particolare, Spagna e Francia hanno registrato un aumento del 22,7%, mentre in Germania la crescita è stata ancora più elevata (+35,0%). L’analisi delle retribuzioni in termini reali evidenzia un divario ancora più significativo del nostro paese rispetto alle altre grandi economie.
Nel 2023, l’Italia è l’unico paese con un livello medio di retribuzioni reali inferiore rispetto al 2013. Rispetto a tale anno, il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde nell’Ue è aumentato, in media, del 3,0%, mentre in Italia è diminuito del 4,5%. In Francia, Spagna e Germania, le retribuzioni reali sono cresciute rispettivamente dell’1,1%, del 3,2% e del 5,7%. Nell’ultimo biennio, caratterizzato da alta inflazione, l’Italia ha registrato la peggiore performance in termini reali (-6,4% rispetto al 2021), seguita dalla Germania (-4,1%). Perdite più contenute si sono osservate in Francia e Spagna (rispettivamente -1,5% e -1,9%).
Francia e Spagna sono coinvolte nel processo di terziarizzazione, mentre in Italia e
Germania l’industria mantiene un ruolo significativo. L’Italia è l’unico paese con una quota di occupati nel terziario inferiore al 70%. La crescita dell’occupazione nel terziario avanzato e il suo contributo al Pil sono più limitati in Italia (+1,3% sia l’occupazione che il Pil) che rispetto a Francia e Spagna, dove è più evidente sia nell’occupazione (+1,8% in Spagna e + 2% in Francia) che nel Pil (+3 in Spagna, +4,5 punti in Francia).
Al 2023 il gap occupazionale di genere in Italia vale più di 18 punti percentuali, risultato di un tasso di occupazione maschile del 70,4% e di una percentuale di donne occupate di appena il 52,2%. In nessuno degli altri paesi europei il divario di genere risulta così fortemente accentuato. La situazione italiana appare particolarmente critica anche se si
guarda all’occupazione giovanile: tra gli under 25 il tasso occupazionale è infatti pari al
20,4%.
Solo un giovane su 5 ha un lavoro: un dato allarmante se confrontato con il
dato della Germania, dove oltre la metà (50,8%) degli under 25 svolge un’attività
lavorativa, ma anche rispetto alla media europea (35,2%).
Gli straordinari tassi occupazionali tedeschi sono imputabili anche al largo utilizzo del
lavoro part time (28,7% nel 2023); Italia (17,6%), Francia e Ue (17,8%), Spagna
(13,1%). In Germania il 94,5% di chi è in part time ha scelto questa forma; in Spagna
e in Italia, al contrario, la metà dei lavoratori a tempo parziale sarebbe disponibile a lavorare e guadagnare di più e ha accettato l’impiego part time solo in mancanza di opportunità di impiego full time. La quota di lavoratori in questa condizione nel nostro Paese è il 10% degli occupati totali al 2023. La diffusione del part time si attesta mediamente in Europa sul 9,6% tra i maschi e sale al 29,3% tra le donne, con una differenza di quasi 20 punti percentuali.
I Paesi Bassi sono il paese con la più ampia diffusione del part time sia tra gli uomini (25,7%) che tra le donne (64,1%). In Germania e in Austria circa la metà dell’occupazione femminile è a tempo parziale, contro il 13% circa dell’occupazione maschile. In Italia i maschi occupati a tempo parziale rappresentano circa l’8%, le donne il 31,5%. In Italia, la quota di part time involontario è infatti pari al 50,2% per le donne e al 69,3% per gli uomini. Il confronto con la Germania e gli altri paesi ad alto tasso di occupazione a tempo parziale è impietoso: le quote di part time involontario si aggirano tra il 3 e il 9% tra i maschi e tra il 2 e il 6% tra le donne.