“L’idea è nata dalla mia esperienza come capo segreteria tecnica dell’ex Ministro del lavoro, Enrico Giovannini, e dall’esigenza di non disperdere il lavoro fatto sia in Europa sia in Italia che voglio ricordare ha portato nel nostro Paese 1 miliardo e 200milioni di euro”.
Chi parla è Daniele Fano, rappresentante italiano di ‘Garanzia Giovani’ nell’Unione Europea, economista, esperto di valutazione delle politiche, di conti finanziari nazionali, di risparmio delle famiglie e di previdenza, autore, insieme alla dottoressa Elisa Gambardella e al giornalista Francesco Margiocco, del libro “Garanzia giovani la sfida”, un tema che scatena non poche polemiche. Posizioni che più che non convergenti si traducono in attacchi, a volte a suon di numeri. Secondo l’Adapt, il centro studi sul lavoro fondato da Marco Biagi, ad esempio, solo il 3% degli iscritti al piano ha ricevuto una proposta di lavoro o di formazione e solo 412mila hanno aderito. Quel solo 412mila non piace né al Ministro Poletti né a Daniele Fano che sottolineano, entrambi, come la Garanzia giovani sia nata solo da 7 mesi, convinti che un progetto abbia bisogno di aggiustamenti e tempi sicuramente più ampi.
Dottor Fano partiamo dalla battaglia sui numeri
“Per rispondere alla critica delle critiche dobbiamo fare un passo indietro. La Garanzia giovani è un programma che viene dalla Ue e forse proprio per questo non è stato capito in Italia. Quando è uscito c’è stato un coro contrario unanime. “Sarà un fallimento”, si è subito detto, oppure “le Istituzione italiane non ce la faranno mai” e quando sono usciti i numeri “Troppe poche le adesioni” e così via. Nessuno ha però messo sul tavolo piani alternativi alla Garanzia giovani per rispondere al problema dell’inoccupazione degli under 30. Questo atteggiamento denota grande pigrizia mentale. Ma come si può pensare che un Paese che non ha mai saputo fare politiche attive sul lavoro, dopo neppure un anno , sappia portare a termine un piano di azione come questo? In parte è vero che le Istituzioni non sono completamente pronte ma è proprio questa la sfida. Una sfida che coinvolge anche le imprese che ancora vedono la Garanzia giovani come un’operazione di piccolo cabotaggio non accorgendosi che il piano sta già alzando la sbarra”.
Il Ministro Poletti ha annunciato un “aggiustamento in itinere”, lei cosa suggerisce?
“Un programma perché abbia successo ha bisogno di un focal point e noi lo abbiamo realizzato alle origini, quando abbiamo scritto il programma, ed è questo il segreto di un successo. In un focal point tutti gli attori sono chiamati ad attivarsi e confrontarsi. Bisogna vincere la paura di affrontare quella che il Ministro Giovannini ha chiamato “la buona chiamata alle armi”. Associazioni, Enti, Ordini, Ministero del Lavoro, Ministero dell’Economia, Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero dell’Istruzione, Regioni, Camere di commercio, Università, devono sentirsi gli attori e sedersi attorno ad un tavolo e solo allora possiamo essere sicuri che avremo vinto la sfida. In questo l’Adepp potrebbe avere un ruolo importante; è l’Associazione che rappresenta le Casse di previdenza dei professionisti ed ha sicuramente il polso della situazione anche sull’occupazione e i problemi legati a questa. Può fare da ponte. Che è poi la filosofia che mi ha spinto a scrivere il libro. L’esperienza che abbiamo vissuto, io e i miei colleghi, prima in Europa e poi in Italia sulla costruzione della Garanzia giovani rischia di restare chiusa in un’area molto ristretta, di non essere conosciuta ad una platea più ampia. il libro nasce proprio dall’esigenza di raccontare questa storia e non lasciare in ambiti tropo ristretti temi come competenze, orientamento, alternanza, scuola, lavoro, il passaggio da una situazione di inattività ad una di attività”.
Quindi oltre alla mancanza di un coordinamento tra tutte le forze interessate c’è un gap di comunicazione ed informazione? E se è così, una “colpa” ce l’hanno anche i servizi per l’impiego?
“Le difficoltà ci sono: amministrazioni frammentate, nessun nesso forte tra istruzione e lavoro, diffidenze e paure radicate, oltre al contesto stesso della crisi. Ci sono servizi per l’impiego che sono una tragedia ma ci sono anche realtà che stanno facendo molto bene il proprio lavoro. Ad esempio “Porta futuro” nel Lazio, un progetto innovativo, finanziato dalla Provincia di Roma, pensato proprio per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Nato sul modello di Porta 22 a Barcellona e delle Città dei mestieri, Porta Futuro mette a disposizione dei cittadini e delle aziende del territorio una struttura di 1.800 metri quadri, nel cuore di Testaccio, dotata di wi-fi, postazioni per l’auto consultazione e di una indoor tv e soprattutto uno staff di professionisti che risponde di persona alle esigenze di giovani e meno giovani in cerca di lavoro. Potrei citarne altri. Certo, come dicevo prima, le aziende non sono ancora entrate nella logica della Garanzia giovani, anche se Il Ministero le sta coinvolgendo attraverso la sottoscrizione di protocolli con le principali associazioni di categoria, che prevedono la promozione di percorsi di tirocinio e di contratti di apprendistato, e la pubblicazione sul portale nazionale Garanzia Giovani delle offerte di lavoro e delle opportunità di formazione. Sono previsti bonus occupazionali per le nuove assunzioni e incentivi specifici per l’attivazione di tirocini e contratti di apprendistato o la trasformazione di un tirocinio in contratto di lavoro. Ma ripeto il piano è nato neppure un anno fa, così come servono correzioni serve un approccio più aperto e benevolo da parte di tutti. La domanda che dobbiamo porci tutti è: Possiamo sprecare anche quest’occasione”?
A proposito di protocolli anche l’Adepp ne ha firmato uno con il Ministero del lavoro proprio sulla Garanzia giovani impegnandosi a svolgere un ruolo di cassa di risonanza del piano sui professionisti visto che in questo si parla di….accesso al credito per i giovani per favorire l’autoimprenitorialità e l’autoimpiego. Ma quando parliamo di accesso al credito non possiamo notare l’ennesimo scollamento tra l’Europa e le Istituzioni del nostro Paese. In Europa i liberi professionisti sono equiparati alle Pmi, in Italia alcune Regioni hanno fatto propria l’indicazione che arriva da Bruxelles, mentre lo stesso Ministero dello sviluppo economico non ha ancora deciso se inserirli o meno nei finanziamenti.
“Come si può migliorare una filiera che in Italia è veramente zoppa? Il nostro Paese ha una grande tradizione di imprenditori ma le linee di aiuto sull’ autoimprenditorialità hanno elementi ancora incerti e scollegati alla realtà, i liberi professionisti sono dei piccoli imprenditori eppure le stesse banche non riescono ad attuare finanziamenti ad hoc. Oggi, realizzare una buona idea nata da un giovane non è sempre possibile perché sia dal primo step ossia il finanziamento a quelli successivi non c’è la capacità di individuare, risolvere i problemi che ne possano inficiare il successo. Inoltre abbiamo molte iniziative sparse ma non una filiera di report ed è in dubbio che su questo c’è molto lavoro da fare . Mi capita di incontrare giovani che sanno fare benissimo un business plan ma poi si accorgono che il finanziamento è insufficiente e non sanno a chi rivolgersi per bypassare lo stop. E’ vero quello che sottolinea lei, manca una regia, una governance strutturata e adeguata, quel ponte ideale di cui parlavo io. Posso dire però che ci sono delle direzioni generali del Ministero del lavoro che fanno un lavoro egregio, certo bisognerebbe spingere su la realizzazione di focal points sia a livello nazionale, sia regionale, sia locale. Creare sedi dove sono riunite tutte le parti interessate nell’attuazione dei programmi”.
Ed infatti nel libro lei parla di “balcanizzazione” dei servizi per l’impiego in Italia, tanto che rimane aperto il dilemma se sarà davvero un piano nazionale o se si tratterà di 20 piani regionali. Una frammentarietà che ha riscontrato anche uno dei suoi due compagni di viaggio, il giornalista Francesco Margiocco, che ha percorso la Penisola in lungo e largo, intervistando “soggetti” conosciuti e non?
“Nel libro ci sono oltre 30 interviste a Ministri, docenti, persone comuni o protagonisti di esperienze importanti. Ci siamo imbattuti in tante realtà di qualità che a volte si scontrano però con situazioni che hanno dell’assurdo. Tra queste voglio citare quella del Cedifop di Palermo, una scuola di metalmeccanica subacquea accreditata dalla Regione Sicilia, ma che non beneficia di contributi regionali e vive quindi delle quote di iscrizione pagate dai giovani e dalle loro famiglie. Di contro c’è quella dell’Istituto professionale Meroni di Lissone, uno dei pochissimi istituti italiani, sono meno della metà, a praticare l’alternanza scuola-lavoro”.
Sfogliando il libro ci si imbatte nella dichiarazione di Agar Brugiavini docente dell’ Università Ca’ Foscari di Venezia che denuncia come “La reazione peggiore di una ragazza o un ragazzo colpiti da uno shock negativo, e che subiscono quindi una sequenza di periodi di inattività, è quella di lasciarsi andare o pensare che non hanno speranze. Bisogna costruire competenze prima e continuare a costruirle durante il periodo più difficile” o dell’Assessore al lavoro della Regione Lazio, Lucia Valente, che ammette “Non si trova lavoro alzandosi la mattina, scendendo dal letto e andando su internet. E la Garanzia Giovani ci ha messo davanti alla verità, costringendoci a rispondere al quesito se siamo o no in grado di dare ai cittadini dei servizi per il lavoro degni di questo nome”.
Oltre i numeri, la questione sta tutta nella domanda che da l’incipit al libro….” Molta disoccupazione, un po’ di soldi per combatterla e poca efficienza. Riuscirà Garanzia giovani ad aiutare i nostri ragazzi?…