100 anni di INPGI. Una storia che parla da sola

634

“100 anni di Inpgi. Una storia che parla da sola e che oggi, in un mercato che definire in crisi sembra quasi riduttivo perché la trasformazione e il percorso di riforma è talmente ampio e inarrestabile che va oltre la parola stessa, è ancora più densa di significato. Unicum, così si potrebbe definire il ruolo dell’Istituto nel Sistema e che ancora oggi resta tale. E se già negli anni ’20 rappresentava il fiore all’occhiello in termini di sistema e di attenzione sociale omnicomprensivo ed autofinanziato, oggi l’Inpgi ha una protezione che si sviluppa a 360 gradi con gli ammortizzatori sociali classici, cassa integrazione, disoccupazione,  copertura infortuni professionali ed  extra professionali,  la malattia ovviamente, una serie di altre funzioni che sostanzialmente sommano quelle di Inps ed Inail”.

Inizia così la “chiacchierata” con Andrea Camporese, presidente dell’Adepp e dell’Inpgi, nella quale si toccherà il  mondo dei giornalisti sfiorando l’Europa, tema caro a Camporese ma soprattutto di grande attualità perché è proprio dall’Europa che arrivano gli imput e le opportunità che, sostiene il Presidente, “andrebbero colte. Bisognerebbe che le persone avessero la voglia e il coraggio di provarci”.

I dati ci dicono che la realtà sta cambiando, è già cambiata,  quindi si parla di una gestione separata che diventa quasi una gestione principale, per numeri e per situazioni. L’Inpgi sta riflettendo su questa nuova realtà, sta pensando ad un welfare che possa rivolgersi anche ad una categoria così importante?

Sicuramente si. Il ragionamento sulle protezioni sociali della gestione separata è un ragionamento che si è sviluppato nel tempo ma che necessita di ulteriori passi perché il sostegno in essere che riguarda la maternità piuttosto che alcune funzioni diciamo di base non è sufficiente. E soprattutto non esiste una forma di welfare specifico per il lavoro giornalistico non dipendente. Forma di welfare specifico che invece si è sviluppata in altre casse, in altre categorie laddove esiste solo la figura del libero professionista.  Noi invece siamo stati sempre un ibrido tra lavoratori dipendenti, liberi professionisti a partita iva, co.co.co. e persone  che stanno in mezzo ossia che hanno un periodo di lavoro a termine, poi dipendente, poi di nuovo a termine. Una realtà molto composita,  che anche a causa della crisi si è sviluppata portando ad una crescita molto rilevante della gestione separata e dei suoi iscritti. Quindi noi dobbiamo pensare, e lo faremo e lo stiamo facendo insieme ai rappresentanti eletti nella gestione separata, alla possibilità di ampliare le tutele  visto che il quadro normativo generale lo permette. La norma incardinata dall’allora Ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, che da la possibilità di utilizzare  quota parte del contributo integrativo, una remunerazione dei montanti che oggi è legata all’andamento quinquennale del Pil e quindi molto bassa mentre i patrimoni rendono molto di più, la plusvalenza che ne deriva potrebbe essere in parte utilizzata … tutto questo può concorrere a creare un welfare più allargato. Ma al di la delle masse economiche che vanno confrontate con le norme c’è un ragionamento culturale di fondo.  Ossia, come noi possiamo rendere più sicuri e più competitivi i giornalisti che non lavorano  dentro strutture redazionali come dipendenti?  E In questo quadro, però,  la domanda centrale è non solo che cosa possiamo dare ma cosa serva. Allora c’è un versante di tutela sociale che secondo me è focalizzato soprattutto sul tema sanitario. Ormai la copertura del rischio sanitario per un giornalista è molto importante  perché  è anche una forma di copertura economica indiretta, nel senso che il pubblico dà una copertura universale ma se pensiamo alle prestazione odontoiatriche o ai ticket sulle visite specialistiche è indubbio che spesso si devono spendere soldi. La Casagit ha già avviato un percorso di trasformazione e di avvicinamento ad una realtà che è cambiata,  ma tanti ancora non riescono ad accedervi , non possono, non vogliono, non lo so, ma siamo distanti da una copertura ad omnia del lavoro sia dipendente sia non. L’altro grande versante è quello professionale. Sicuramente c’è il tema della permanenza nel mercato che non può essere assistenza tout court ma aiuto a competere e comprendere. È importante  la formazione? Quale? C’è un’offerta formativa molto grande ma in realtà la formazione è ormai efficace ed efficiente se è estremamente mirata all’obiettivo lavoro, legata ai gap lavorativi. Ma cosa significa, ad esempio, per un collega di 50 anni che esce da una redazione ricollocarsi? Dove e soprattutto come? Facciamo l’esempio del web. Se 5, 6, 7, 8 anni fa si diceva “è importante fare un corso sul giornalismo sul web perché è la frontiera futura” oggi siamo molto oltre.  Quale web? Quale parte? Con quale specifica professionalità? Bisogna andare molto nel profondo e quindi serve anche una formazione molto mirata. E più è mirata e più è in grado di conoscere, anticipare il mercato, bisogna formare persone corrispondenti il più possibile alla richiesta che questo fa.

Il problema è come far ripartire un mercato che è in forte depressione

Abbiamo qualche elemento positivo,  gli incentivi messi in campo con il fondo per l’editoria della Presidenza del Consiglio stanno producendo effetti: tra la fine dell’anno scorso e l’inizio di quest’anno sono stati oltre 200 i nuovi contratti  di lavoro, quasi tutti a tempo indeterminato,  questa linea deve andare avanti.  La speranza è che l’unione tra un ciclo economico che ricomincia a crescere seppur non in  modo enorme,  gli sgravi contributivi messi  in campo e la possibilità da parte delle aziende di riprendere un ragionamento su un prodotto incentrato sull’innovazione, porti ad una stimolazione del mercato. Io sono cautamente positivo. Certamente però  non credo che torneremo ad avere il lavoro dipendente come elemento sostanziale e modello unico del lavoro giornalistico.

C’è anche il tema del riconoscimento del lavoro degli uffici stampa

C’è il tema degli uffici stampa non solo pubblici ma anche privati. Su quelli pubblici c’è la legge 150 mai applicata, ma al di là della legge in ambito previdenziale chiunque svolga l’attività di addetto stampa nel pubblico deve essere iscritto all’Inpgi. Noi negli anni abbiamo verificato tutto questo nei Comuni, nelle Province, nelle Regioni e siamo arrivati ad avere quasi 2mila giornalisti dipendenti pubblici iscritti all’Istituto al di là del contratto applicato. Nell’ambito privato invece c’è ancora secondo me molto da fare perché noi abbiamo verificato che ci sono colleghi che lavorano in uffici stampa privati, anche con redditi non banali,  che spesso non risultano iscritti all’Inpgi. Questi avrebbero l’obbligo di  farlo. Siccome da parte del datore di lavoro non c’è una convenienza ad essere iscritti all’Inps o all’Inpgi , anzi  c’è una leggera convenienza ad essere iscritti all’Inpgi ,si tratta di incardinare anche lì una cultura previdenziale corretta.

In Europa, grazie anche al lavoro costante dell’AdEPP che ha partecipato al tavolo tecnico sull’Action Plan for Entrepreneurship 2014-2020, si è parlato molto di liberi professionisti.  Formazione continua,  Erasmus delle professioni, la tessera professionale che sancisce la  libera circolazione delle idee,  i liberi professionisti equiparati alle Pmi e quindi degni di accedere al credito e a quel sostegno finora negato, bandi studiati ad hoc o aperti a categorie finora ignorate, sono solo alcuni degli obiettivi raggiunti. Se prendiamo però in esame la categoria dei giornalisti che cosa si deve ancora fare e che cosa invece  è stato fatto?

L’Europa va verso gli studi professionali, ne finanzia l’apertura, la fusione , l’ampliamento. Vede in questa tipologia di approccio al mercato, che ripeto  nelle altre professioni è assolutamente consolidata e normale, una delle principali forme di accesso. Ovviamente non esclude che il singolo professionista a partita iva giochi nel mercato globale, però io credo che i giornalisti dovrebbero ragionare sul fatto che l’unità fa la forza, che uno studio professionale può avere più capacità di stare sul mercato,  di competere, di rafforzarsi. Ecco la categoria dei giornalisti proprio per formazione storica è la categoria che ha percorso meno il tema degli studi professionali. Potremmo dilungarci molto sul perché di tutto questo ma ripeto ci sono delle motivazioni implicite al mercato giornalistico, di tipologia professionale  e anche culturali. Ci sono alcune esperienze messe in campo in questi anni interessanti che hanno avuto forza e futuro. Se prima c’era il vecchio modello della cooperativa che serviva per fare un prodotto, oggi ci dovrebbe esser il modello dello studio che è una forma di cooperazione, non per fare un prodotto ma per stare sul mercato a 360 gradi.. È pur vero che l’offerta di mercato in abito giornalistico è stata negli anni sempre compressa, non è mai stata aperta. Oggi soprattutto grazie all’informazione digitale tutto è possibile però noi partiamo con un gap storico. Bisognerebbe che le persone avessero la voglia e il coraggio di provarci cosa non semplice. Entrarci richiede una crescita della cultura di accesso a questi fondi, tema non banale, che comporta oltre ad un interesse una formazione specifica indirizzata ad imparare a trovare e a fare un bando. Anche se i nuovi giornalisti hanno una familiarità non solo con le nuove tecnologie ma con le lingue, con una visione più ampia del mercato che può essere uno strumento e un valore, si trovano di fronte colleghi che sono più avanti. L’evoluzione del mercato giornalistico in Francia e in Germania negli ultimi anni, nel bene e nel male, si è spostata sempre di più verso il lavoro non dipendente. In alcuni casi travolgendo il contratto nazionale del lavoro. Noi invece abbiamo questo presidio importante che resta valido ma a fianco dobbiamo pensare ad un cambiamento di prospettive. Fornire strumenti, informazioni e sperare che ci sia anche una consapevolezza culturale che porti da quella parte.

Qui si torna al ruolo dell’Inpgi  che in questi anni è cambiato. Da Ente erogatore di pensione e prestazioni a sostenitore  di un welfare allargato, fino a fare da ponte tra gli ordini, il sindacato, l’Europa e i propri iscritti

Nei limiti della propria funzione. Sul tema Europa noi cercheremo tramite il nostro centro studi di fornire ai presidi regionali, al sindacato nella sua articolazione, all’Ordine,  le maggiori informazioni possibili e quindi fare da volano e da moltiplicatore anche per gli altri presidi istituzionali di categoria. L’Inpgi resta un enorme osservatorio sull’andamento del mercato del lavoro giornalistico perché di qua passano i dati previdenziali, lavorativi, occupazionali e reddituali. L’osservatorio è talmente profondo e preciso che può essere un tramite per sollecitare  a mettere in campo ragionamenti e prospettive  che poi vengano colte dai vari soggetti interessati, sia il sindacato sia l’Ordine sia la Casagit. Noi possiamo avere un ruolo, cerchiamo di averlo già oggi, e possiamo averlo in prospettiva, di sistema, di visione, di sguardo lungo. Non si può pensare che, in questo nuovo mondo, viviamo le contribuzioni in forma passiva perché questo significa non assolvere al compito di tutela di una categoria capendo anche dove stiamo andando.

Una platea così variegata, formata da lavoro dipendente,  co.coc.co, liberi professionisti, 15mila iscritti ad entrambe le gestioni,  giornalisti che stanno un po’ di qua e un po’ di la perché hanno un lavoro discontinuo,  che cosa comporta per l’Inpgi?

Negli ultimi anni abbiamo vissuto un forte squilibrio tra ciò che incassiamo per via contrattuale e ciò che spendiamo in termini di prestazioni,  di ammortizzazione sociale, di contribuzione figurativa ecc. eccc. Questo squilibrio è stato profondo, noi lo abbiamo coperto con il rendimento del nostro patrimonio, lo abbiamo fatto orgogliosi di farlo perché gli ammortizzatori sociali funzionano soprattutto quando c’è bisogno e quindi è giusto cercare di dare il massimo. Allo stesso tempo nel mondo che abbiamo descritto fino ad ora questi strumenti sono strumenti di antichissima data  e guarda caso nel pubblico, che noi non dobbiamo necessariamente replicare, ci sono trasformazioni in atto profonde, il jobs act ma  non solo, tutto il sistema di ammortizzazione, l’Aspi,  la mini Apsi, tutta una serie di decisioni prese o riflessioni in corso anche sulla flessibilità, sull’andata in pensione prima o dopo, tutto il Sistema generale va verso un profondo ripensamento e riflessione che coinvolge anche l’evoluzione del mercato del lavoro.  Che questi strumenti siano preziosi è indubbio, che debba rimanere una copertura sociale altrettanto, c’è uno squilibrio economico che ci preoccupa  legato anche alla crisi, ma al di là di tutti questi elementi c’è una riflessione sull’adeguatezza di questi strumenti rispetto a ciò che abbiamo di fronte.  Una riflessione che deve essere fatta nelle sedi opportune,  nel Consiglio di Amministrazione, all’interno degli organi  statutari dell’Inpgi, in un confronto con le parti sociali,  con gli editori e con il sindacato, confronto che faremo nei prossimi mesi ma non con l’idea che si debba tagliare semplicemente perché c’è uno squilibrio economico ma con una prospettiva più ambiziosa ossia che si debba rendere massivamente efficiente ciò che si può spendere, sempre più adeguata alla necessità delle persone. Una riflessione complicata però giusta. Ogni euro che viene speso in ammortizzatore sociale se produce la chance di trovare lavoro oltre la beneficio di sopravvivere è ben indirizzato. Non credo che pensare che tutto sia immutabile anche a livello di tutela sociale sia una buona idea.

Tu sei un giornalista. Se tu dovessi dare un titolo raccontando questa storia, che cosa è oggi e cosa sarà domani….

Quando diciamo oggi diciamo almeno l’ultimo quinquennio. L’Inpgi è ed è stato un grande strumento di protezione di una categoria che ha subito una trasformazione mostruosa  e la protezione è stata talmente improntata e alta che credo che non tutti i colleghi se ne rendano conto, per vari motivi. Questa profonda trasformazione sarebbe stata drammatica se non ci fossero state le tutele dell’Inpgi. Pensiamo all’uscita dalle aziende di  migliaia di persone magari forzosamente che danno ci sarebbe stato senza pre- pensionamenti e le tutele conseguenti! L’Inpgi, la storia della categoria, ha permesso di attraversare questo territorio così difficile riducendo in modo molto rilevante le sofferenze che ci sarebbero state.  Nella stragrande maggioranza dei casi l’Inpgi ha permesso di evitare problematiche sociali interne alla categoria enormi e questo è un dato di fatto. Lo ha fatto mettendo in campo i propri strumenti  e anche molti denari. Cosa potrebbe essere,  cosa farà nel futuro? Nella mia mente….Credo che dovrà mantenere una specificità perché questi 100 anni di vita dimostrano che la specificità è possibile, è preziosa e va mantenuta nell’equilibrio dei conti. La specificità non è un disvalore, non è vero che tutte le professioni sono uguali e che tutto il lavoro è uguale. Mantenere la specificità delle eccellenze che sono anche molto migliori del Sistema pubblico e che paghiamo noi, significa anche continuare su quella impronta solidale che l’Istituto ha sempre avuto molto forte e la solidarietà non è necessariamente dare tutto a tutti,  deve essere capace di ulteriori riforme. La spinta riformatrice non va confusa con tagliare le cose  ma è qualcosa di molto più complicato. Io credo che negli anni ci sia stata una profonda spinta riformatrice in tutti i settori non solo nelle prestazioni ma nell’utilizzo del patrimonio, nelle norme interne, ecco questa capacità di intercettare nei tempi corretti l’evoluzione della società, del mercato del lavoro è molto importante perché se si arriva tardi in previdenza poi diventa molto difficile intervenire. E’ importante avere il coraggio di interrogarsi su cosa sarà il giornalismo futuro. Se da una parte dobbiamo mantenere delle tutele specifiche perché sono tutele di libertà e di esercizio costituzionale delle professione, e se salta questo diventa pericoloso per la qualità e l’indipendenza della professione stessa, dall’altra non può il nostro mondo considerarsi un mondo a parte. I mondi a parte sono destinati a morire,  bisogna, invece, ricevere le contaminazioni di una società che cambia, interpretarle e farle proprie nel modo più corretto e più solidale possibile.